Fermatevi, please. O meglio: fermatela. Fermate l’ordalia dei reati. Arginate la bulimia del processo penale. Lo chiedono a gran voce i giuristi. Lo hanno ribadito in un’audizione sul ddl del guardasigilli Alfonso Bonafede, svolta giovedì scorso a Montecitorio, in commissione Giustizia. Da una parte il professore della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa Tullio Padovani, tra i massimi padri della scienza processual penalistica italiana, che con impietosa, entomologica puntualità smonta gli auspici deflattivi della riforma. Dall’altra un costituzionalista che si dichiara preliminarmente portatore di «un’ottica parziale, direi diagonale, sulla materia» come Alfonso Celotto, ordinario all’università Roma Tre, che precede l’intervento di Padovani e di Serena Quattrocolo, professoressa di Diritto processuale penale presso l’università del Piemonte orientale. Ebbene, è proprio il presunto intruso Celotto a tradurre in un accorato appello il senso che in fondo si potrebbe cogliere anche nelle parole degli altri due accademici: «Il punto è che sono state attratte nella sfera del processo penale troppe fattispecie anche minori, per le quali era più che sufficiente un altro genere di sanzione. Se arriviamo a un milione e mezzo o due milioni di processi, come pure si legge nella relazione introduttiva della riforma, vuol dire che dobbiamo ridurre il numero dei reati, altrimenti non spegneremo mai l’incendio del carico eccessivo». Dobbiamo, in una parola, «depenalizzare».

CELOTTO: «PENE PECUNIARIE OLTRE ALLE MULTE: CHE SENSO HA?»

Ecco, la frase di Celotto, pronunciata con pacatezza, è rimbombata nella Sala del Mappamondo non solo perché a presidiarla c’erano pochissimi deputati, tra i quali il vertice della commissione Mario Perantoni, dei 5 Stelle, con gli altri collegati in videoconferenza. La sala era solenne e vuota. Ma le parole del costituzionalista si sono udite benissimo, e non possono che rievocare il vano tentativo compiuto al tavolo del ministro, quasi due anni fa, da Anm e Unione Camere penali. Furono le rappresentanze di magistrati e avvocati a proporre alcune ipotesi di riforma, solo in parte accolte nel testo varato a inizio 2020 in Consiglio dei ministri, e a sollecitare anche ampi interventi di depenalizzazione. Alla fine l’ipotesi non ha retto alla prova dell’intesa politica e ne sono sopravvissute pochissimi riverberi sul fronte della nuova disciplina delle contravvenzioni, peraltro minuziosamente destrutturata dalle critiche di Padovani.

L’ordinario di Diritto costituzionale a Roma Tre, da giurista di estrazione eterodossa, fa notare cose semplicissime: «Ci sono fattispecie in materia ambientale e urbanistica già sanzionate sul piano amministrativo a cui, per creare un’ulteriore deterrenza, si aggiunge anche la responsabilità penale. Ma anche considerato che poi la sanzione penale è un’ammenda, cioè un’ulteriore sanzione economica, non si spiega il motivo per cui si debbano andare a ingolfare le sezioni penali dei Tribunali. Prima ancora della procedura», è la inevitabile raccomandazione di Celotto, «andrebbe dunque modificato il codice penale. Se io commetto un piccolo abuso edilizio, la sanzione di una forte multa e della demolizione è già molto persuasiva».

PADOVANI SOTTOPONE, SENZA PIETÀ, I PROPOSITI DEFLATTIVI AI RAGGI X

Padovani è il primo processual penalista a essere divenuto accademico dei Lincei. Intanto contesta la cosiddetta «indicazione delle priorità, fra i reati, che dovrebbe essere avanzata dagli uffici di Procura con una serie di consultazioni e criteri, fra cui persino la dotazione di strumentazioni tecnologiche. Cosa vuol dire, che se in quell’ufficio non ci fossero mezzi abbastanza evoluti per poter contrastare i reati informatici e per questo si decidesse di non inserire quelle fattispecie in cima alla gerarchia dei delitti da perseguire, i criminali informatici sposteranno i propri interessi tutti in quel distretto? Ma è assurdo».

Padovani ha una prosa fiammeggiante che annichilisce i deputati, nessuno dei quali alla fine, osa porgergli quesiti. Si sofferma anche sul «corto circuito che si rischia di creare fra le cosiddette priorità e la neointrodotta disciplina dei termini per le indagini preliminari, ora presidiati anche da sanzioni disciplinari a carico del pm che non li rispettasse: ci troveremo dunque con magistrati inquirenti che da una parte avranno relegato in fondo alla graduatoria delle urgenze tutta una serie di materie, destinate quindi a finire sul binario morto della prescrizione; dall’altra però ci sono le sanzioni e dunque la necessità di chiudere tutto. Se la storia delle priorità voleva essere una disciplina surrettizia della prescrizione, mi pare che si sia riusciti a creare un meccanismo esplosivo».

Da instancabile sostenitore delle battaglie dei penalisti ( categoria di cui pure fa parte), Padovani sollecita il Parlamento ad affrontare casomai «il nodo vero, quello dell’obbligatorietà». Poi però indaga sulle zone grige della materia, e in particolare sugli interventi, previsti nel ddl penale, relativi alle pene pecuniarie: «Si rischia di perdere l’occasione sulla cosiddetta pena pecuniaria per tassi». Eppure, anche grazie al lavoro svolto dallo stesso Padovani nell’ 89 come consulente di via Arenula, «un po’ di strada si era fatta: per esempio con l’articolo 459 comma 1 bis sul decreto penale. Dobbiamo arrivare a una vera mutuazione, dal modello portoghese, del meccanismo per cui si sostituisce la pena detentiva con una pecuniaria moltiplicata per il numero di giorni di carcere altrimenti sofferti, ma calibrata in ragione delle reali possibilità economiche del soggetto. Con la riforma attuale», avverte Padovani in commissione Giustizia, «sapete cosa avverrebe? Che una pena pecuniaria sostitutiva dell’arresto passerebbe da 45mila a 32mila euro: ma a che serve? Sono sempre troppi, per un poveraccio. Bisogna tenere conto di quello che realmente può pagare».

Poche attenuanti, da Padovani, anche per l’articolo 10 della riforma, relativo alle contravvenzioni, in cui il tentativo di rendere la sanzione pecuniaria concorrenziale con quella detentiva gli pare «confuso e non facilmente interpretabile: le norme esistenti sono più vantaggiose. Se si vuole snellire il sistema penale serve altro».

Serve l’archiviazione di un totem, quello del panpenalismo. Che invece ancora una volta sembra aver schiacciato sotto i propri piedi gli auspici di chi avrebbe voluto depenalizzare, prima ancora che riformare il processo.