L'avvocato può richiedere un compenso maggiore rispetto a quello concordato solo se ha espressamente previsto questa possibilità e specificato l'importo aggiuntivo in caso di mancato pagamento tempestivo del cliente. Il Consiglio Nazionale Forense ha confermato questa regola nella sentenza n. 36/2023, dopo aver esaminato il caso di due avvocati sanzionati dal CDD del Veneto per aver richiesto un compenso molto più elevato senza aver avvisato il cliente della possibilità di maggiorazione.

Il procedimento disciplinare ha avuto origine da un esposto presentato da un cliente che aveva affidato agli avvocati l'incarico di gestire la sua separazione dalla moglie. Il cliente ha affermato che l'accordo iniziale sul compenso era stato successivamente modificato dagli avvocati, che avevano richiesto una somma significativamente superiore.

Dopo che il cliente ha revocato l'incarico, sostenendo un lavoro insoddisfacente da parte degli avvocati, questi ultimi hanno sollecitato il pagamento del compenso rivisto tramite preavvisi di parcella. Il cliente ha contestato la legittimità dei pagamenti, sostenendo che sarebbero dovuti solo al completamento del giudizio. Gli avvocati, invece, hanno ottenuto un parere favorevole dal COA di Venezia riguardo alle parcelle relative all'attività svolta. In seguito, gli avvocati hanno inviato una diffida di pagamento delle parcelle, richiedendo un compenso complessivo sette volte superiore all'accordo iniziale.

Il CDD ha sottolineato che gli avvocati hanno richiesto un compenso notevolmente più alto senza aver formulato la necessaria riserva di maggiorazione, violando così le norme deontologiche. Gli avvocati hanno impugnato la decisione del CDD, che li aveva sanzionati con un avvertimento per la richiesta di un compenso "circa sette volte maggiore di quello precedentemente concordato". Tuttavia, il Consiglio Nazionale Forense ha respinto le loro argomentazioni, ritenendole infondate.

Il Cnf ha ritenuto convincente la ricostruzione dei fatti effettuata dal CDD, basandosi su prove documentali solide. Gli accordi sul compenso sembrano essere stati stabiliti fin dall'inizio dell'incarico, e l’art. 29 del Codice Deontologico Forense enfatizza la necessità che l'avvocato esprima chiaramente la sua riserva di maggiorazione per informare adeguatamente i clienti delle possibili conseguenze.

Gli avvocati accusati hanno cercato di difendersi sostenendo che la riserva era stata formulata verbalmente, ma l'assenza di prove scritte e corrispondenza formale non ha convinto il Cnf. Inoltre, la complessità dell'incarico non può essere usata come giustificazione, poiché un'attenta analisi e una strategia concordata con il cliente avrebbero dovuto stabilire chiaramente i parametri del compenso.