C’era il rischio che passasse il principio che un avvocato ammesso al gratuito patrocinio potesse non essere retribuito dallo Stato nel caso in cui l'istanza per attenuare una misura cautelare fosse respinta nel merito. Pericolo scampato, come nel caso specifico, per i detenuti meno abbienti che non hanno risorse economiche per difendersi di fronte alle autorità giudiziaria.

La seconda sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza depositata il 16 marzo scorso, ha accolto il ricorso presentato dall'avvocato Luca Sebastiani e difeso dal professore ordinario Paolo Biavati dell’università di Bologna, confermando così il suo diritto alla liquidazione del compenso per la difesa di un imputato ammesso al gratuito patrocinio in un procedimento svoltosi dinanzi alla Corte d'Appello di Venezia. Accade che con ordinanza pubblicata il 9 marzo dello scorso anno, il Presidente della Corte d’appello di Venezia ha confermato il decreto con cui era stata respinta la richiesta di liquidazione del compenso, avanzata all’avvocato Sebastiani per la difesa di Jman Montasser – ammesso al gratuito patrocinio – in un procedimento volto a ottenere la modifica di una misura cautelare.

L’imputato era stato condannato in primo grado e la pena era stata ridotta in appello. Il difensore aveva presentato un’istanza alla Corte distrettuale per attenuare la misura cautelare, successivamente respinta nel merito. Per essere più chiari, il giudice distrettuale aveva respinto la richiesta di liquidazione del compenso, ritenendo che l'assistito non potesse beneficiare del patrocinio a spese dello Stato in quanto il ricorso contro la pronuncia di appello e quello contro la pronuncia cautelare erano stati dichiarati inammissibili in Cassazione. In realtà un conto essere dichiarati inammissibili come il primo caso, ovvero contro la pronuncia d’appello che ha confermato la condanna, un conto essere respinti entrando però nel merito come il secondo caso per quanto riguarda l’attenuazione della misura cautelare.

L'avvocato Sebastiani ha quindi presentato un ricorso in Cassazione, denunciando la violazione dell'art. 106 del D. P. R. 115/ 2002 e sostenendo che la richiesta di liquidazione riguardava esclusivamente l'attività difensiva svolta nel procedimento per la modifica della misura cautelare, conclusosi con pronuncia di rigetto nel merito. Inoltre, il giudizio di legittimità pendente verteva sulla responsabilità penale dell'imputato e non sulla modifica delle misure cautelari.

La Cassazione ha dato ragione all'avvocato Sebastiani, sottolineando che il compenso riguardava esclusivamente la difesa nel procedimento cautelare e che la norma che esclude il diritto al compenso del difensore è applicabile solo nei casi di inammissibilità dell'impugnazione. La sentenza della Corte suprema, quindi, afferma che l'avvocato Sebastiani ha diritto alla liquidazione del compenso per la difesa dell'imputato ammesso al gratuito patrocinio nel procedimento per la modifica della misura cautelare. Ordinanza significativa perché la Cassazione conferma che la norma che esclude il diritto al compenso del difensore sarebbe applicabile solo nei casi di inammissibilità dell'impugnazione. Ma non quando il rigetto entra nel merito.

La pronuncia è importante, perché rischiava di passare un principio che avrebbe leso il diritto al gratuito patrocinio per i detenuti che vorrebbero far ricorso contro le misure cautelari o attenuarle. Principio pericoloso perché gli avvocati non verrebbero pagati per i riesami e i detenuti svantaggiati rimarrebbero privi di difesa. L’articolo 106, invece è ben chiaro: mira a contemperare due distinti interessi; ovvero da un lato, garantire a tutti i soggetti non abbienti il diritto di difesa, e dall'altro, la necessità di contenimento della spesa pubblica evitando che siano liquidati compensi professionali per attività superflue ed inutili ove l’esito di inammissibilità sia largamente prevedibile se non perfino previsto già al momento del deposito dell’impugnazione. La cassazione, quindi, difende il principio sancito dalla legge: un conto sono impugnazioni dichiarate inammissibili, un conto - come in questo caso specifico - quando il riesame viene rigettato nel merito. Nell’ultimo caso l’avvocato può essere liquidato dallo Stato così come prevede il testo unico in materia di spese di giustizia.