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natura giuridica ordini
Secondo una consolidata tradizione, recepita espressamente negli ordinamenti professionali più recenti (cfr. art. 24 dell’ordinamento forense, L. 247/2012; art. 6, d. lgsl. 139/2005, ord. dott. Commercialisti), gli Ordini professionali sono qualificati come enti pubblici non economici a carattere associativo, dotati di autonomia regolamentare, patrimoniale e finanziaria, trattandosi di enti che non gravano sulla finanza pubblica, alimentati esclusivamente dai contributi degli iscritti. Tuttavia, nonostante la loro evidente specialità, gli Ordini sono di frequente oggetto di richieste di adempimenti e obblighi da parte di Amministrazioni centrali dello Stato, allorquando queste si trovano ad applicare disposizioni genericamente rivolte al comparto pubblico, con esiti a volte paradossali. È il caso ad esempio della circolare Mef n. 15 de[/BASE]l 2019 – “Il conto annuale 2018 – rilevazione prevista dal titolo V del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, con la quale si stabilisce - che “Per dare piena attuazione al dettato dell’art. 1 comma 2 del d.lgs. n. 165/2001 nella parte in cui individua come amministrazioni pubbliche tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, a partire dalla rilevazione corrente sono tenuti all’invio dei dati tutti gli Ordini Professionali”. La norma che stabilisce l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di rilevare e inviare al Mef i costi del personale è in vigore da molti anni, e mai è stata avanzata l’ipotesi che potesse riferirsi anche agli Ordini professionali. Infatti, essendo la rilevazione finalizzata appunto alla redazione del “conto annuale 2018”, i dati relativi al personale degli Ordini sarebbero del tutto fuorvianti, in quanto le spese del personale di essi non gravano sul complessivo plafond finanziario del sistema pubblico consolidato; una volta inserite nella relativa rilevazione, dunque, tali spese ne dovrebbero essere immediatamente scorporate, a meno di non voler alterare i risultati complessivi, oltretutto con un ingiustificato appesantimento dei conti dello Stato. La ragione di tali improprie assimilazioni è che le normative genericamente rivolte al comparto pubblico, piuttosto che delimitare precisamente il proprio campo di applicazione in funzione degli obiettivi e della ratio del singolo intervento legislativo, si limitano per lo più a richiamare pigramente l’art. 1, comma 2, d. lgsl. n. 165/2001, fonte che contiene un elenco del settore pubblico in origine pensato solo per l’applicazione delle disposizioni in tema di pubblico impiego, e che contempla anche gli enti pubblici non economici. È stato più volte evidenziato in dottrina come il richiamo all’art. 1, comma 2 TU pubbl. imp., sia di per sé insufficiente a ricomprendere gli Ordini professionali, giacché l’intero testo unico si applica agli Ordini professionali solo nei principi (e non nelle norme di dettaglio), ed in quanto tali principi siano recepiti da regolamenti autonomi degli Ordini stessi (cfr. art. 2, comma 2bis, D. L. 31 agosto 2013, n. 101). E tuttavia, gli Ordini continuano a ricevere richieste di adempimenti ed obblighi manifestamente pensati per enti che gravano sulla finanza pubblica: solo per citare i casi più recenti, si pensi alle richieste relative alla revisione periodica e al censimento delle partecipazioni pubbliche (art. 20, d. lgs. n. 175/2016; art. 17, d.l. n. 90/2014), alla comunicazione dello stock di debito delle PP.AA. (art. 1, comma 867, L. 145/2018) e a quelle in materia di costi del personale. Tale situazione genera gravi difficoltà applicative, a fronte dell’impossibilità oggettiva di applicare agli Ordini, per lo più assai modesti per dimensioni strutturali e numero di dipendenti, discipline e regimi manifestamente pensati per il comparto delle amministrazioni statali. Più in dettaglio, il comparto degli Ordini professionali territoriali, composto da oltre 2.000 enti pubblici non economici omogenei quanto a struttura organizzativa e dimensione economica, è caratterizzato da una serie di elementi comuni: - dimensioni molto ridotte (gli Ordini più strutturati hanno un numero di dipendenti anche pari a 10/12, ma la maggior parte degli ordini ha al massimo 2 o 3 dipendenti); - assenza, nella maggior parte dei casi, di figure dirigenziali; - determinazione delle risorse finanziarie e di personale nei termini strettamente necessari per lo svolgimento dei compiti istituzionali e, conseguentemente, bilanci di modesta entità (posto che le risorse proprie ammontano mediamente a poche centinaia di migliaia di euro); - numero non elevato di procedimenti che necessitano di un monitoraggio (con particolare riferimento alla normativa anticorruzione e sulla trasparenza); - partecipazione a titolo gratuito agli organi di indirizzo politico. Da qui la necessità di una precisazione che, coerentemente con le premesse sistematiche qui rapidamente sintetizzate, possa raggiungere l’obiettivo di escludere la soggezione automatica degli Ordini professionali a normative genericamente riferite al comparto pubblico, ed affermare l’opposto principio in forza del quale, ogni qual volta il legislatore intenda estendere agli Ordini e ai Collegi professionali previsioni od obblighi che caratterizzano il regime delle PP. AA., lo debba affermare espressamente, secondo criteri di compatibilità (come avvenuto, ad esempio, con l’art. 3 del decreto legislativo n. 97/2016, il cd. correttivo alla normativa sulla trasparenza, che ha chiarito l’applicabilità di taluni obblighi di trasparenza anche agli Ordini professionali, “in quanto compatibili”). Si tratta a ben vedere di chiarire una volta per tutte quanto già affermato di recente dalla giurisprudenza amministrativa più accorta, ove si afferma che, trattandosi “di enti di carattere associativo, costituiti dagli appartenenti alle relative associazioni professionali, che si finanziano esclusivamente con i contributi dei propri iscritti… il Legislatore si è preoccupato, di volta in volta, di estendere espressamente agli ordini professionali, con specifiche disposizioni, questa o quella normazione afferente alle pubbliche amministrazioni ed agli enti pubblici” (Tar per la Sicilia, sezione di Catania, sentenza n. 2307 del 5 dicembre 2018), e di evitare inutili contenziosi nelle sedi più disparate. La collocazione migliore di una disposizione volta a raggiungere l’obiettivo indicato sarebbe probabilmente la fonte che già esclude gli Ordini professionali dagli obblighi di cd. spending review, e precisa che il T.U. pubbl. imp. si applica a tali enti solo nei principi, e sulla base di regolamenti autonomi. Si propone pertanto la modifica dell’art. 2, comma 2 bis, del Decreto legge 31 agosto 2013, n. 101, con aggiunta dopo le parole “enti aventi natura associativa”, delle parole: “non rientrano nell’elenco di cui all’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e”. (...).