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Se si dovesse arrivare alla riapertura del processo sulla strage del 2 agosto 1980, sarà merito della tenacia della Procura generale di Bologna. “Ci è parso che forse ci sia ancora qualche spunto investigativo da approfondire, per il rispetto che si deve ai familiari delle vittime e alla città di Bologna”, aveva dichiarato l’avvocato generale dello Stato, Alberto Candi, motivando due anni fa l’avocazione del procedimento sui mandanti della strage. Il fascicolo, aperto dopo l’esposto presentato dal presidente dell’Associazione delle vittime, Paolo Bolognesi, era infatti rimasto a carico di ignoti e stava per essere archiviato dal procuratore di Bologna, Giuseppe Amato.
La Procura generale, invece, affidando all’esplosivista parmigiano Danilo Coppe e al colonnello del Ris Adolfo Gregori, il compito di periziare i detriti ammassati all’epoca della strage all’interno della caserma di Prati di Caprara, ha ottenuto il risultato di mettere in discussione le risultanze processuali che hanno visto la condanna all’ergastolo per i terroristi neri Francesca Mambro e Giusva Fioravanti.
La perizia della svolta è stata consegnata mercoledì al presidente della Corte d’Assise di Bologna, Michele Leoni, che sta celebrando il processo nei confronti l’ex terrorista dei Nar, Gilberto Cavallini. Undici chilogrammi di esplosivo – e non 20- 25 come si riteneva in precedenza - composto da T4 e tritolo con residui di gelatina – il contrario di quanto ritenuto finora nei processi a carico di Mambro e Fioravanti - derivati da cariche da lancio di munizionamento sconfezionato della Seconda Guerra Mondiale ma, soprattutto, un interruttore di sicurezza per il trasporto della valigia contenente l’ordigno.
Si tratta di un interruttore elettrico di tipo «on- off», incompatibile non solo con qualsiasi deviatore presente nella sala d’aspetto della stazione di Bologna dove venne posizionata la valigia contenente l’ordigno ma, anche, con materiale appartenente alle Ferrovie.
Per i periti, l’interruttore, simile a quello dei tergicristalli di un’auto, è compatibile con un interruttore di sicurezza artigianale realizzato da chi ha costruito l’ordigno e utilizzato per evitare l’esplosione durante il trasporto. Ma, trattandosi di un congegno artigianale, sarebbe stato difettoso.
Il reperto, ritrovato a distanza di 40 anni, potrebbe, dunque, offrire un riscontro a quanto ipotizzato dall’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga che, in un’intervista del 2008, parlò di un trasporto finito male: «La strage di Bologna è un incidente accaduto agli amici della ’ resistenza palestinese’ che, autorizzata dal ’ lodo Moro’ a fare in Italia quel che voleva purché non contro il nostro Paese, si fecero saltare colpevolmente una o due valigie di esplosivo». In definitiva l’ordigno all’interno della valigia sarebbe esploso accidentalmente mentre veniva trasportato.
Va quindi riletta la presenza di diverse persone sospette che si trovavano a Bologna quel giorno, ad iniziare da quelli che, secondo la Stasi, l’ex Servizio segreto della Repubblica Democratica tedesca, erano terroristi del gruppo dinamitardo di Carlos lo Sciacallo, Thomas Kram e Christa Margot Frolich. Il 18 giugno 1982, quest’ultima verrà fermata e arrestata all’aeroporto di Fiumicino nel corso di un controllo mentre trasporta una valigia contenente 3 chilogrammi e mezzo di miccia gommata verde, composta da pentrite prodotta nei Paesi del Patto di Varsavia, oltre a un timer e una staffa semicurva con un interruttore identico a quello trovato dai periti a Prati di Caprara.