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L’estate sta finendo, e la diciottesima legislatura con lei. Il Senato ha approvato il decreto Aiuti bis, ultimo provvedimento di questi cinque anni di lavori parlamentari nell’Aula di palazzo Madama, con 182 voti favorevoli, zero contrari e 21 astenuti. L’accordo è arrivato questa in mattinata quando governo e forze di maggioranza (Movimento 5 Stelle su tutte) hanno raggiunto l’intesa sulla norma legata al Superbonus. Dopodomani il decreto dovrà essere convertito in legge dalla Camera, ma in Senato si è dunque chiusa in questo modo la legislatura forse più pazza della storia repubblicana, apertasi, dopo tre mesi di stallo, con il governo giallo verde di Lega e M5S, proseguita con quello giallorosso di pentastellati, Partito democratico e Italia viva, e conclusasi con l’esecutivo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, con tutti centro tranne Fratelli d’Italia e alcuni grillini fuoriusciti dal partito in corso d’opera. In Aula il clima è da ultimo giorno di scuola, d’altronde la maggior parte dei senatori sanno che non rimetteranno piede a palazzo Madama, a causa del taglio dei parlamentari, e passano da un saluto all’altro. A qualcuno scende pure una lacrima, si sentono discorsi del tipo «menomale che è finita». Gli altri, quelli candidati in collegi più o meno blindati e quelli che si giocheranno la rielezione all’ultimo voto, sono a Roma soltanto per poche ore, rubate a una campagna elettorale che entra ora nella sua fase più calda, quella degli ultimi dieci giorni prima del voto. Il decreto Aiuti bis è stato approvato da un’ampia maggioranza, in Aula si vedono anche il leader di Italia viva, Matteo Renzi, e quello della Lega, Matteo Salvini, che però arriva solo quando c’è da parlare di scostamento di bilancio. E invece è proprio Renzi, tra un voto a un emendamento e l’altro, che fuori dalla buvette dice al Dubbio che «quando finisce un amore poi non è facile…», in riferimento agli esponenti di Pd e M5S che pochi minuti prima si sono presi a male parole al momento del voto all’emendamento decisivo sul superbonus. «Ce la siamo vista brutta venerdì scorso - dirà il leader M5S, Giuseppe Conte, dopo il voto - ma è l'ennesima dimostrazione che a noi interessa risolvere i problemi: e non è vero, come ha scritto Letta, che stiamo dimostrando un atteggiamento irresponsabile per un calcolo elettorale, mi aspetto delle scuse». Che, ovviamente, da parte dem non sono arrivate. Anzi. «È Conte che deve chiedere scusa al Parlamento e al paese per avere fatto ritardare approvazione si un provvedimento importante per imprese e famiglie», chiosa la capogruppo dem Simona Malpezzi. Tra gli interventi si chiama spesso in causa il “futuro governo”, cioè quello che avrà il compito di prendere ulteriori provvedimenti per contrastare la crisi energetica derivante dall’aumento del prezzo del gas e dalla guerra in Ucraina, e si attribuiscono compiti «a quelli che verranno». L’esecutivo Draghi, dicono esponenti di maggioranza tra quelli che non hanno contribuito alla sua cacciata, «il suo l’ha fatto». Chi continuerà con ogni probabilità il suo lavoro a palazzo Madama è Pierferdinando Casini, giunto alla sua decima legislatura e che dopo il voto scompare tra i corridoi del Senato, quelli che ormai conosce a memoria.