La Giornata internazionale dell’avvocato in pericolo, organizzata da una coalizione internazionale composta da una trentina di associazioni forensi delle quali fa parte anche l’Oiad e in programma il prossimo 24 gennaio, sarà dedicata ai legali degli Stati Uniti. L’iniziativa intende mantenere alta l’attenzione della società civile e delle istituzioni sul lavoro degli avvocati in un determinato Paese. Quest’ultimo viene selezionato ogni anno per rendere note le minacce ai quali i legali sono sottoposti nell’esercizio della professione. Dopo Turchia, Filippine, Honduras, Cina, Egitto, Pakistan, Azerbaigian, Colombia, Afghanistan, Iran e Bielorussia, la Giornata dell’avvocato in pericolo sarà dedicata nel 2026 agli avvocati statunitensi. La scelta non è casuale.
L’anno che si sta chiudendo è stato caratterizzato, con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, da non poche tensioni che hanno coinvolto l’avvocatura d’oltreoceano. Diversi episodi hanno fatto scattare l’allarme in quella che è definita – ancora per molto? - la culla della democrazia e la patria dei diritti e delle libertà.Sin dalla scorsa primavera, Trump ha voluto regolare una serie di conti rimasti in sospeso durante i quattro anni di permanenza a Washington di Joe Biden. Al centro delle sue attenzioni pure gli avvocati. Trump sembra non stimarli, come molti giudici ritenuti responsabili della mancata rielezione di cinque anni fa.
Il rapporto fra il tycoon e gli avvocati può essere definito di amore-odio. Prima del giuramento solenne come 47° presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha fatto proiettare, alla presenza anche della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nella sontuosa residenza di Mar-a Lago il docufilm “The Eastman Dilemma: lawfare or justice”. Una dimostrazione di vicinanza nei confronti di un suo ex avvocato, John Eastman, al centro di una serie di indagini per aver difeso il presidente americano e, quindi, per essere stato dalla parte “sbagliata”. Eastman è stato radiato dall’avvocatura dello Stato della California nel tentativo di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020 con Trump candidato per la seconda volta. Alla proiezione di Mar-a-Lago ha assistito il principe del foro Alan Dershowitz, che in una intervista al Corriere della Sera ha offerto una chiave di lettura interessante: «Il film riguarda gli abusi della giustizia in tutto il mondo e ci si muove sempre di più verso quello che chiamo lawfare, termine che ho inventato molti anni fa. È un concetto molto pericoloso, usato da regimi repressivi per anni, Stalin nell’Urss, dittatori sudamericani, Mussolini ovviamente, per servirsi del sistema legale a scopi politici di parte. E ho visto Meloni scuotere la testa più volte. Mi sembra che le sia piaciuto, senz’altro era interessata».
Ora la situazione è cambiata. Se qualcuno confidava in un atteggiamento garantista di Trump, si è sbagliato di grosso. A marzo il capo della Casa Bianca ha avviato una crociata contro l’avvocatura, tanto da provocare la reazione immediata dell’American Bar Association (ABA), che ha lanciato l’allarme sull’attacco allo Stato di diritto. Il primo passo di Trump per imbrigliare l’avvocatura è consistito in un memorandum per “prevenire gli abusi del sistema legale e della Corte federale”, considerato intimidatorio verso la classe forense con l’obiettivo di impedire ai legali di intentare cause contro l’amministrazione statunitense. Da qui una serie di ordini esecutivi che hanno preso di mira gli studi legali più prestigiosi. Una modalità per intimidire gli oppositori politici, che, oltre a minare lo Stato di diritto, fa temere per i destinatari dei provvedimenti la fuga della clientela, il calo dei fatturati e, soprattutto, l’esercizio del diritto di difesa con minor convinzione.
Le “attenzioni” di Trump hanno interessato le law firms Perkins Coie, Paul Weiss, Wilmer Cutler Pickering Hale and Dorr LLP e Jenner & Block. Un provvedimento riguardante Paul Weiss è stato revocato, dopo che Trump ha raggiunto un’intesa in base alla quale, tra le varie garanzie, lo studio ha accettato di fornire 40 milioni di dollari in servizi legali pro bono per cause sostenute dall’amministrazione americana. Altri accordi con la Casa Bianca sono stati raggiunti da Covington & Burling e Skadden, Arps, Slate, Meagher & Flom. Poi è stato il turno di Willkie Farr & Gallagher. Lo studio legale fondato nel 1888 è tra i dieci più importanti degli Stati Uniti con uffici su tutto il territorio nazionale, a partire da New York, e in altri 15 Paesi (per un totale di 1.200 professionisti). A capo dell’ufficio di Los Angeles c’è Doug Emhoff, marito di Kamala Harris, candidata democratica alle presidenziali del novembre 2024, già vicepresidente degli Stati Uniti con Biden. La law firm ha raggiunto un accordo con l’amministrazione Trump per destinare almeno 100 milioni di dollari in servizi legali gratuiti a cause che hanno, ad esempio, come oggetto il sostegno ai veterani e la lotta all’antisemitismo.
La “pace” è stata annunciata da The Donald sul social Truth. Alla base dell’intesa c’è stato l’impegno dello studio legale a non perseguire intenti, nei tribunali o lontano dalle aule giudiziarie, che possano essere dannosi per l’amministrazione Trump. L’entourage presidenziale ha riferito che Willkie Farr & Gallagher si impegna a «porre fine alla militarizzazione del sistema giudiziario e della professione legale». In un passaggio della nota diffusa dalla Casa Bianca all’indomani dell’accordo è stata enfatizzata un’espressione che sarà sempre più ricorrente quando si parlerà di giustizia, il “partisan lawfare”, con riferimento all’uso strumentale e fazioso della legge per danneggiare qualcuno. «Il presidente – ha evidenziato la Casa Bianca - sta mantenendo le sue promesse per sradicare il Partisan Lawfare in America e ripristinare la Libertà e la Giustizia per tutti».
Ne emerge un quadro chiaro su quanto sta avvenendo negli Stati Uniti con la scelta, dunque, non casuale di dedicare il 24 gennaio alla condizione in cui versa la professione forense a stelle e strisce. Leonardo Arnau, coordinatore della Commissione diritti umani e protezione internazionale del Cnf e presidente dell’Oiad, si sofferma sul contesto che ha ispirato la Giornata dell’avvocato in pericolo 2026. «Gli attacchi all’indipendenza degli avvocati e delle avvocate – commenta Arnau - non riguardano soltanto gli Stati considerati “autoritari”. Pur essendo classificati come una “democrazia consolidata”, gli Stati Uniti stanno oggi attraversando una preoccupante intensificazione delle minacce contro l’indipendenza di avvocati, giudici e procuratori. Dal 2025, pressioni politiche, ritorsioni amministrative, attacchi contro i magistrati e la criminalizzazione di alcune attività di difesa hanno creato un clima di insicurezza professionale senza precedenti. Negli ultimi anni è purtroppo emersa una polarizzazione estrema della vita politica, che ha accentuato la vulnerabilità dei professionisti del diritto che lavorano su temi sensibili, come immigrazione, violenze della polizia, diritti civili, ambiente e sicurezza nazionale». Il nuovo anno sarà utile per verificare gli effetti del trumpismo sull’avvocatura che opera sull’altra sponda dell’Atlantico.