«Sul carcere pesano problemi drammatici. È ora che lo si comprenda. E mi sembra fuori luogo trascendere in strumentalizzazioni. Non si può strumentalizzare per esempio il sacrificio di chi ha pagato con la vita la ricerca di verità sulla mafia. Eppure è avvenuto anche a proposito della scelta compiuta dalla ministra Marta Cartabia per la guida del Dap: mi sembrano polemiche incomprensibili. Così si finisce per parlare di carcere in chiave solo propagandistica, senza affrontare i problemi. Che sono invece concreti e che richiedono un approccio consapevole dei valori da tempo compromessi nell’esecuzione penale. Mi pare che la ministra voglia intervenire sulla materia penitenziaria con la consapevolezza che i problemi da risolvere riguardano appunto il quotidiano della vita in carcere». Giovanni Maria Flick, prima di assumere le funzioni di giudice e poi di presidente della Corte costituzionale, è stato ministro della Giustizia. «E a via Arenula», dice al Dubbio, dopo averne parlato nei giorni scorsi anche a Radio Radicale, «tra le cose che mi fa piacere ricordare, considero certamente la nomina di Alessandro Margara alla guida del Dap. Persona estremamente valida, che ha interpretato l’esecuzione penale come sistema in cui i detenuti sono al centro di tutto. “Ci fa sentire uomini”, dicevano di lui i reclusi. Il magistrato scelto dalla ministra, Carlo Renoldi, è considerato allievo di Margara. Deve per forza averne mutuato una corretta visione del sistema penitenziario. Non lo conosco personalmente, né voglio iscrivermi a qualche tifoseria. Ma intanto mi pare positivo anche che si tratti di un giudice e non di un magistrato dell’accusa».

Presidente, com’è possibile che invece la nomina di Renoldi scateni tante reazioni indignate?

Si tratta di polemiche poco comprensibili. È incomprensibile l’allarme per la possibile nomina, sulla quale dovrà decidere il governo, di una magistrato che, innanzitutto, vanta un’esperienza nei Tribunali di sorveglianza. Ha anche esposto idee critiche assai significative sul carcere, in particolare sul 41 bis, istituto che non a caso è stato oggetto di molteplici interventi da parte della Corte costituzionale.

Quindi criticare il cosiddetto carcere duro non è un’eresia?

Il problema non è soltanto la discussione sul carcere duro. I problemi sono nel sovraffollamento tornato ai livelli consueti, nei 13 suicidi che già si contano tra i detenuti dall’inizio del nuovo anno, oltre a quelli tra la polizia penitenziaria. Una situazione insostenibile. Ora, è evidente come in molti vi sia una tale paura di vedere attenuata l’allerta sul fronte della sicurezza, che si reagisce a qualsiasi nuova prospettiva sul carcere in modo parossistico. Ma sentire evocare il sacrificio di chi ha pagato con la vita la ricerca della verità sulla mafia, ecco, è del tutto fuori luogo. È una strumentalizzazione che ignora, elude, distoglie dai veri problemi del carcere. Mi sembra invece che la ministra Cartabia abbia ben individuato quei problemi.E quindi la nomina di Renoldi può essere giudicata positivamente?Ripeto: io non mi iscrivo ad alcuna tifoseria. Credo però sia giusto scegliere chi punta sulla fiducia, sul recupero, sul superamento degli automatismi. E poi vorrei porgere alcune domande.

Prego.

Perché mai dovremmo avere sempre e comunque magistrati dell’accusa, alla guida del Dap? Perché dobbiamo affidare l’amministrazione penitenziaria a chi manda le persone in carcere anziché a chi giudica i diritti dei detenuti? Perché il capo del Dap non dovrebbe essere un magistrato giudicante, finalmente, e che abbia appunto esperienza nei Tribunali di sorveglianza? Ho già detto che trovo incoraggiante individuare un giudice che abbia avuto modo di lavorare con Margara. Detto tutto questo, finirò per sorprenderla con quella che considero la vera via maestra per l’amministrazione penitenziaria.

Cosa intende dire?

Mi chiedo se comunque, al vertice di quel dipartimento, sia davvero utile che si nomini solo un magistrato. O se non sarebbe necessario individuare, nell’alta dirigenza ministeriale, anche chi sia capace di occuparsi innanzitutto di logistica, di organizzazione, di gestione quotidiana di un sistema complesso. Dopodiché, ripeto: non si comprende perché negli ultimi anni la scelta sia caduta sistematicamente su magistrati dell’accusa. Renoldi invece si occupa tuttora, anche da consigliere di Cassazione, delle istanze di chi è recluso.

Non servono i massimi sistemi, né le strumentalizzazioni.

Serve conoscenza di un dramma, piuttosto. Oggi la nostra idea di esecuzione penale ruota intorno all’annullamento dell’identità. Vengono sottratte, alla persona detenuta, le dimensioni dello spazio, del tempo, eccessivamente lunga o vanamente abbreviata che sia la pena, e soprattutto della relazione con gli altri. Spazio, tempo e relazioni, innanzitutto affettive, compongono l’identità. Che nel caso dei detenuti viene soffocata in modo terribilmente afflittivo. Basiamo l’esecuzione penale su questo. E così mi pare calpestiamo il nucleo dei princìpi che dovrebbero governare la pena. Non solo l’articolo 27 ma anche gli articoli 2 e 3 della Costituzione. Umanità, fine rieducativo, reinserimento, dignità, equilibrio razionale fra tutela dei diritti e sicurezza: il presidente della Repubblica li ha evocati ancora un volta nel discorso pronunciato in Parlamento dopo il nuovo incarico. Mi pare che, nel dibattito politico, quei valori continuino a essere trascurati.

Buona parte della politica ha tutt’altre idee, sul carcere.

Sì, ma conforta l’orientamento della guardasigilli. Vede, gli Stati generali dell’esecuzione penale hanno guardato ad obiettivi molto ambiziosi, a una innovazione del sistema penitenziario, e della pena, che richiedeva modifiche normative. Ma quelle riforme non arrivano mai. E allora, per tornare al discorso di partenza, al Dap serve una guida che si impegni per affermare la dignità nelle carceri attraverso innovazioni possibili con semplici modifiche del regolamento. Nelle pieghe della normazione secondaria, lo spazio per agire esiste, e lo ha molto ben individuato la commissione Ruotolo, nominata dalla ministra, i cui risultati sono assai preziosi. Si deve uscire da un’idea di carcere in cui vince solo l’ansia retributiva, senza spazio per l’identità, per la persona. Si dovrebbe uscire, in realtà, da un’idea di esecuzione penale incentrata sul carcere, dove a mio giudizio dovrebbero essere destinati solo i soggetti pericolosi, violenti. Agli altri dovrebbe essere prospettata una pena diversa. Dovrebbe essere ampliato lo spazio delle pene alternative e della giustizia riparativa. Un orizzonte per ora lontano, è evidente. Ma se, come sembra, il magistrato che la ministra ha individuato coltiva una visione del carcere basata sulla dignità, si potrebbe assistere a un primo passo avanti.