Caiazza: «Che assurdità le toghe che scrivono leggi per riformare se stesse»
Altro che svolta: la nuova riforma del Csm «sarà scritta dai magistrati, con un metodo parasindacale». Parla il leader dei penalisti Gian Domenico Caiazza
Altro che svolta: la nuova riforma del Csm «sarà scritta dai magistrati, con un metodo parasindacale». A dirlo è Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali, secondo cui per affrontare la crisi della magistratura sarebbe stato necessario affrontare il problema delle valutazioni di professionalità - positive quasi nel 100% dei casi - e dei fuori ruolo. Temi sui quali è proprio l’Ucpi a lavorare per una riforma di iniziativa popolare. «In questo progetto di riforma - spiega Caiazza al Dubbio - si parla solo di sistema elettorale. E francamente non è questa la soluzione alla crisi».
La nuova riforma del Csm è attesa come una svolta. Ma a conti fatti saranno gli stessi magistrati a decidere quale sarà il loro futuro, col rischio che tutto cambi affinché nulla cambi.
Questa riforma, diversamente da quella sul processo penale, che ha coinvolto molti più soggetti, tra cui noi, è in corso di definizione tra il governo e l’Associazione nazionale magistrati, secondo una logica parasindacale. Ma una riforma che deve intervenire sulla più grave crisi della magistratura nella storia repubblicana non può essere scritta a quattro mani con l’Anm. Mentre noi penalisti siamo stati, credo proficuamente, coinvolti nella riforma del processo penale, qui siamo stati tenuti fuori, come chiunque altro. Ed è significativo. Questa è la prima osservazione di metodo.
Il dibattito si sta concentrando essenzialmente sul sistema elettorale, come se fosse l’antidoto ultimo alla crisi. Basta?
No. È un aspetto che consideriamo marginale rispetto alle ragioni della crisi della magistratura. Immaginare che si possa riformare l’ordinamento giudiziario modificando il sistema elettorale del Csm è una sorprendente illusione, che ha colpito anche la politica, negli anni. Non crediamo che ci saranno grandi differenze, qualunque modifica si riuscirà a fare.
Sorteggio compreso?
Il sorteggio avrebbe certamente un impatto molto forte. Anche se comprendiamo che si arrivi a questa idea per disperazione, da parte di chi vuole riformare, a noi penalisti l’idea del sorteggio non piace. È e rimane una sgrammaticatura democratica, una soluzione disperante e disperata. Se siamo a un livello di crisi così ingovernabile da avere il bisogno sorteggiare i componenti di un organismo costituzionale di quell’importanza siamo veramente alla frutta. Se poi dobbiamo prendere atto che siamo alla frutta va bene.
Quali sono i problemi da affrontare con priorità?
In primo luogo il problema della progressione delle carriere. Il motivo per il quale il sistema delle nomine non funziona, con le sue derive correntizie, è che le carriere procedono automaticamente, come è noto, con valutazioni positive oltre il 99%. Così, quando si deve scegliere un procuratore capo o il presidente di una Corte d’Appello, si troveranno sempre cinque o sei magistrati che avranno lo stesso curriculum e saranno considerati equivalenti. È naturale, con questo appiattimento. La grande riforma della magistratura passa dunque, prima di tutto, dalla riforma dei meccanismi di progressione di carriera e quindi della valutazione di professionalità, che avrebbe anche il pregio di responsabilizzare il magistrato per ciò che fa. Se il magistrato non risponderà mai a nessuno della qualità del proprio lavoro, come succede adesso, sarà totalmente deresponsabilizzato, perché tanto andrà avanti ugualmente. Di tutto questo, nel progetto di riforma, non c’è nulla, se non l’introduzione di un ulteriore livello di giudizio. Ma è una cosa assurda.
La vicenda dei vertici della Cassazione ne è un esempio?
I ricorsi al Tar riguardano un’enorme quantità di nomine di magistrati, in tutta Italia. Dovrebbe essere la magistratura a capire, per amor proprio, che deve recuperare dei meccanismi di merito nell’avanzamento delle carriere, in modo da non dover vedere sindacare ogni cinque minuti le proprie scelte e le proprie stesse regole. Sa, le circolari sulle valutazioni quadriennali sono severissime e presuppongono un’analisi veramente approfondita per far andare avanti chi merita e lasciare indietro chi non merita. Ma è carta straccia. Questa valutazione è stata annientata, in nome di principi di autonomia e indipendenza, con la conseguenza che non si sa più chi sia capace e chi no. E lo decide il Consiglio di Stato, il che crea un problema di tensione istituzionale molto forte tra magistratura ordinaria e amministrativa. Quest’ultima vicenda è clamorosa perché colpisce i vertici della magistratura, e grave perché queste decisioni non possono intervenire dopo due anni che si esercitano le funzioni. Ma non è una cosa nuova: è la conseguenza di quella gravissima disfunzione. È proprio per questo che noi stiamo lavorando a due grandi leggi di iniziativa popolare su distacchi dei magistrati e valutazioni professionali. Lavorandoci posso dire che non è facile costruire un’alternativa. Quindi non banalizzo, ma bisogna farlo.
L’altro tema è, appunto, quello dei fuori ruolo, sul quale più volte l’Unione delle Camere penali ha posto l’accento.
Abbiamo appreso con soddisfazione dell’inserimento di una delega che prevede, molto genericamente, una riduzione del numero dei magistrati fuori ruolo presso l’esecutivo. È un piccolo segnale di attenzione nei riguardi di una tematica cruciale, perché questa è una cosa unica al mondo. Ma dovrebbe essere una riduzione prossima all’azzeramento: non si capisce per quale ragione un magistrato che vince un concorso dovrebbe andare a fare una cosa diversa dal concorso che ha vinto, laddove poi c’è una carenza di giudici e di magistrati. E non è solo un problema di percentuale, ma anche di ruoli apicali, cioè politici, che dovrebbero essere preclusi al magistrato, per evitare la commistione tra potere giudiziario e potere esecutivo. Ci vadano i funzionari di carriera, i professori universitari: perché ci deve andare un magistrato? Noi pensiamo che le leggi le facciano il Parlamento e il governo e che la magistratura le applichi. Questa cosa che la magistratura debba scrivere le leggi e soprattutto su se stessa e sulla riforma di se stessa a noi pare un’assurdità.
Altro punto è la presenza degli avvocati nei consigli giudiziari.
E si torna al grande tema della valutazione professionale. Nel momento in cui diciamo che bisogna far saltare in aria questo sistema ipocrita delle valutazioni quadriennali, un ruolo importantissimo sarebbe proprio quello degli avvocati. La loro è la voce del foro. Guardi, capisco la delicatezza, perché il diritto di voto dell’avvocatura nei consigli giudiziari diventa un’assunzione di responsabilità enorme ed esige una indipendenza di giudizio veramente straordinaria, perché l’avvocato dovrà esprimere un giudizio sui magistrati con i quali deve lavorare tutti i giorni. Siamo consapevoli che si tratti di qualcosa che richiede un impegno formidabile, anche eticamente. Ma come si può immaginare che la voce dell’avvocatura non debba avere peso nel giudizio dell’operato di un magistrato?