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Giancarlo Pittelli
«Dopo tre anni e due mesi di privazione della libertà personale, con la umiliazione feroce addirittura del carcere di Bad ‘e Carros per molti mesi, e la distruzione di una intera vita pubblica e privata costellata di successi, riconoscimenti e responsabilità anche politiche, il Tribunale del Riesame di Catanzaro riconosce finalmente la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza che avevano fino ad oggi legittimato l’accusa a carico dell’avv Giancarlo Pittelli, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa»: così l’avvocato Gian Domenico Caiazza ha annunciato la revoca della misura cautelare per l’ex parlamentare di Forza Italia, imputato nel processo "Rinascita Scott" per concorso esterno in associazione mafiosa ed altri reati. «Onore alla onestà intellettuale ed alla indipendenza di questi giudici, innanzitutto, in un contesto tutt’altro che semplice. Ma onore soprattutto a Giancarlo Pittelli, - ho proseguito il penalista che lo assiste insieme ai colleghi Salvatore Staiano e Guido Contestabile - colpito dalla peggiore delle violenze possibili, cioè quella di una accusa ingiusta. Chissà quando si riuscirà finalmente a comprendere che non può accadere nulla di più drammatico ad un essere umano, che essere travolto e distrutto da un’accusa infamante ed ingiusta. Mi auguro che Giancarlo Pittelli sappia trovare la forza per riprendersi quella vita che gli è stata così immotivatamente ed oltraggiosamente distrutta», conclude il presidente dell’Ucpi. È stata dunque annullata l’ordinanza del Tribunale di Vibo del 14 aprile dello scorso anno relativa al rigetto dell’istanza di revoca degli arresti domiciliari nei confronti di Pittelli. Smontate pertanto le accuse della DDA di Catanzaro. La decisione di ieri arriva dopo un annullamento con rinvio ad opera della Corte Suprema di Cassazione. Spiegano i giudici che «La misura cautelare degli arresti domiciliari è stata oggetto di successiva modifica con sostituzione della misura in atto con quella non custodiale dell’obbligo di dimora, con provvedimento del Tribunale di Vibo Valentia del 19 dicembre scorso». Permane tuttavia «l’interesse alla trattazione dell’appello», anche per «l’interesse della difesa alla verifica della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza per una eventuale azione di riparazione per ingiusta detenzione». Punto centrale la presunta rivelazione da parte dell’ex senatore dei verbali ancora secretati del pentito Andrea Mantella. Nel merito, il Riesame ha stabilito che, allo stato degli atti e dell’istruttoria del processo Rinascita Scott, non emerge che Giancarlo Pittelli abbia disvelato notizie coperte da segreto in relazione ai verbali relativi alla collaborazione nel 2016 del collaboratore di giustizia vibonese Andrea Mantella. In tal senso, quindi, dagli atti non emerge che Pittelli abbia trasmesso notizie coperte da segreto al clan Mancuso. Per il Tribunale del Riesame, infatti «difetta la gravità indiziaria della asserita prestazione di ricerca delle informazioni contra ius e dei verbali non discoverati di Andrea Mantella. Tale vulnus non viene superato dalle allegazioni della Procura, che pur dimostrative di una condotta opaca di Pittelli e difficilmente catalogabile come professionale, e della sussistenza di legami, connotati anche da una certa frequenza, con Marinaro, agente della Dia dal quale, secondo il costrutto accusatorio, avrebbe reperito le informazioni segretate, in realtà, allo stato degli atti – scrivono i giudici del Riesame – e salvo più approfondita istruttoria dibattimentale, si arrestano al mero sospetto, non potendo affermarsi che i verbali e le informazioni in ordine alla collaborazione di Mantella fossero nella disponibilità di Pittelli o che Pittelli avesse gli strumenti e si fosse effettivamente attivato, tramite le proprie conoscenze per reperirli». Sul punto appaiono rilevanti due aspetti sottolineati dalla difesa. Innanzitutto, il tenore della conversazione del 12 settembre 2016 con Giovanni Giamborino. Difatti «Pittelli affronta il tema della collaborazione di Mantella in modo confidenziale, con frasi che non preludono al disvelamento di segreti, ma piuttosto traspare l’immagine di un avvocato che, raccolte le informazioni sulla vicenda, anche da fonti notorie come il giornale, voglia dar luce alla propria importanza nella vicenda per supportare gli assistiti, finanche millantando la possibilità di reperire notizie ancora segrete sui fatti. Ma vi è di più. Nella conversazione del Giamborino con Ceravolo del 31.10.2016 il primo afferma che nessuno ha a disposizione i verbali delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia relativamente alle parti omissate, con la conseguenza logica che tale dato non è in possesso neanche di Pittelli. Ciò è confermato anche dalla conversazione tra Pittelli e Giamborino del 19 novembre 2016, allorquando Pittelli afferma, con riferimento a Mantella: “Io non posso dire quello che dirà questo, perché non lo sappiamo ancora". Ebbene, tale frase – rimarcano i giudici del Riesame – letta nell’intero contesto intercettato, a parere del Collegio conferma che i verbali non solo non sono in possesso di Pittelli al mese di novembre 2016, ma per di più non si fa neanche minimamente cenno alla possibilità di reperirli con le illecite ingerenze ed entrature dell’avvocato». Infine per quanto concerne «il manoscritto rinvenuto in sede di perquisizione, il Tribunale del Riesame di Catanzaro ritiene che lo stesso, quand’anche dimostrativo di una illecita fuga di notizie in favore di Pittelli, tuttavia non prova il disvelamento, in assenza di altri elementi indiziari, di notizie riservate alla cosca Mancuso da parte dell’avvocato, essendo emerso, piuttosto, anche in ragione della informativa del Marinaro, un interesse dell’imputato ad avere notizie di indagini a suo carico e non per contribuire alla sopravvivenza o rafforzamento del sodalizio». In pratica per il Collegio «la messa a disposizione del Pittelli non ha dispiegato alcun contributo concreto alla consorteria, trattandosi appunto, per come acclarato nei precedenti provvedimenti giudiziali, di una sorta di millanteria per far considerare dai propri assistiti come cruciale il suo ruolo, alla luce delle sua conoscenze ed entrature. Tale condotta non è qualificabile come concorso esterno in associazione mafiosa, per carenza dell’elemento soggettivo della fattispecie del nesso causale tra condotta contestata e aiuto concreto al sodalizio, richiesto indefettibilmente per la configurabilità del delitto ex art 110-416bis cp». Per l'avvocato resta comunque la misura cautelare in quanto detenuto nell’ambito dell'altra inchiesta “Mala Pigna”.