Rivoluzione? Autodeterminazione del mondo del calcio? Forse, entrambe le cose. Oppure, più semplicemente, un segno dei tempi: con lo sport più seguito che ha la legittima aspirazione ad evolversi. La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (C-333/21), secondo la quale Uefa e Fifa non rispettano il diritto alla concorrenza e alla libera prestazione dei servizi, guarda al presente e al futuro.

Due anni fa la cosiddetta Superlega, un nuovo progetto di competizione calcistica con i migliori club europei, creò non poche divisioni. Badiamo bene, però: i giudici di Lussemburgo non si sono espressi a favore del nuovo campionato stellare. Hanno invece evidenziato alcuni principi che riguardano le due più importanti organizzazioni del pallone, Uefa e Fifa, in merito ai poteri che possono esercitare.

Quando la Superlega ha iniziato a prendere corpo, attraverso la società spagnola European Superleague Company, la Fifa e la Uefa si sono opposte, minacciando di imporre sanzioni ai club e ai giocatori che avrebbero partecipato. L’atteggiamento dei governi europeo e mondiale del calcio non ha scoraggiato i club “ribelli”. Che, attraverso il loro “trust”, hanno intentato un’azione dinanzi al Tribunale commerciale di Madrid, sostenendo che le norme sull’approvazione delle competizioni e sullo sfruttamento dei diritti dei media sono contrarie al diritto Ue. I dubbi sulla condizione di monopolio hanno indotto il giudice spagnolo a chiedere l’intervento della Corte di giustizia Ue.

E oggi quest’ultima ha osservato che l’organizzazione di competizioni calcistiche fra i club, da parte di Fifa e Uefa, e lo sfruttamento dei diritti mediatici costituiscono «in tutta evidenza attività economiche». Devono, quindi, essere rispettate le regole della concorrenza e della libertà di movimento. Dai giudici di Lussemburgo una dichiarazione inequivocabile sulla vicenda che li ha occupati: la Fifa e la Uefa stanno abusando di una posizione dominante. Le norme che si sono date i due organismi del calcio, relative allo sfruttamento dei diritti mediatici, sono in grado di arrecare danno ai club europei, a tutte le società operanti nei mercati dei media e, in ultima analisi, ai consumatori e ai telespettatori.

I punti chiariti dalla sentenza C-333/21 hanno immediatamente suscitato una serie di reazioni quasi tutte contrarie alla Superlega. Il presidente della Uefa, Aleksander Ceferin, è stato chiaro: «La cosa più importante è che il calcio rimanga unito. Squadre come Girona e Atalanta non si potrebbero qualificare nella Superlega. Questo format è più chiuso di quello del 2021. Parlare di competizione aperta è sbagliato. Oggi ne abbiamo avuto la conferma. Non abbiamo mai provato a fermare il progetto. Possono fare quello che vogliono, spero che inizino il prima possibile con due club. Spero che sappiano ciò che stanno facendo, ma non ne sono sicuro. Il calcio non è in vendita».

Dall’Inghilterra si predica cautela, ma al tempo stesso si sottolinea una chiara presa di posizione: «La Premier League – si legge in una nota diffusa poche ore fa – prende atto della sentenza nella causa della Corte di giustizia Ue che coinvolge la "European Superleague Company", la Fifa e la Uefa. Si tratta di una sentenza significativa, e ora esamineremo le sue implicazioni» ma non è una pronuncia, continua la nota, che «sostiene la cosiddetta “Superleague europea”», e la Premier League «continua a respingere qualsiasi concetto del genere. I tifosi sono di vitale importanza per il calcio e hanno più volte espresso chiaramente la loro opposizione a una competizione “separatista” che recide il legame tra calcio nazionale ed europeo. Ribadiamo il nostro impegno a sostegno dei principi della competizione aperta, che sono alla base del successo delle competizioni per club nazionali e internazionali».

Il Paris Saint-Germain e l’Atletico Madrid hanno, poche ore dopo la sentenza, espresso pieno appoggio alla Uefa e contrarietà alla Superlega. In Italia il ministro per lo Sport, Andrea Abodi, auspica il gioco di squadra: «La Corte Ue non ha detto che si giocherà la Superlega ma che l’assetto va rivisto. Il presupposto fondamentale per me è che ci sia inclusività della competizione, la tutela di campionati e vivai nazionali. Oggi è un giorno di assunzione di responsabilità e profonde riflessioni: sarà importante leggere bene il dispositivo, ma cerco di vedere le opportunità, c’è la necessità di rivedere il baricentro di rapporti e interessi. Prima di arrivare alle estreme conseguenze, c’è un percorso che la Uefa può fare».

L’avvocato Pierfilippo Capello (Head of sports in Deloitte Legal) offre una lettura tecnica della sentenza di Lussemburgo. «Questa decisione – dice al Dubbio – riduce in maniera sostanziale la portata-ombrello del principio della sport exception, che dalla sentenza Bosman in poi ha permesso allo sport, in Europa, di operare come una industria da considerarsi, per l’appunto, una "eccezione" e perciò libera di non applicare, in tutto o in parte, norme e principi sostanziali dell’Ue. Il calcio è un’industria troppo importante per rischiare di avere nei prossimi anni continue battaglie legali in tutta Europa. Forse la Ue dovrà decidere di regolare essa stessa direttamente alcuni aspetti, come d’altronde sembra che farà l’Inghilterra con il football white paper».

Un richiamo storico è utile farlo. Il primo a lanciare l’idea della Superlega, negli anni Novanta del secolo scorso, fu Silvio Berlusconi ai tempi della presidenza del Milan. L’ex patron rossonero propose una super-competizione per i top club europei, che in seguito ha consentito alla Coppa dei Campioni, alla quale partecipavano solo le vincitrici dei campionati, di evolversi nella Champions League. Il progetto iniziale è stato coltivato, abbandonato e ripreso. La sentenza della Corte Ue potrebbe comunque riaprire il cantiere, e con l’inasprirsi della crisi dei diritti televisivi la maggioranza del calcio europeo, che oggi critica la Superlega, potrebbe cambiare idea.