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Non si possono costringere i bambini a vedere i nonni quando sono proprio i minori a manifestare contrarietà. Lo sottolinea la Cassazione aggiungendo che davanti a una “relazione sgradita e non voluta” non ci può essere “imposizione manu militari”.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso dei genitori di due bambini costretti a frequentare i nonni nonostante ci fosse una situazione conflittuale evidente. In particolare, si legge nella sentenza, “il compito del giudice, non è quello di individuare quale dei parenti debba imporsi sull’altro nella situazione di conflitto, ma di stabilire, rivolgendo la propria attenzione al superiore interesse del minore, se i rapporti non armonici (o addirittura conflittuali) fra gli adulti facenti parte della comunità parentale si possano comporre e come ciò debba avvenire”.
All’attenzione della Corte il caso di una famiglia dove esisteva una situazione conflittuale tra i genitori dei due bambini, i nonni e lo zio paterno. Nonni e zio si erano rivolti alla magistratura per vedere i nipoti. Il tribunale di Milano, con decreto del febbraio 2019, accoglieva la domanda, “disponendo che i ricorrenti potessero intrattenere rapporti con i nipoti nei limiti e con le modalità specificamente indicati nel provvedimento; incaricava i servizi sociali di regolamentare gli incontri e i rapporti fra i ricorrenti e i bambini con la presenza di un educatore e successivamente, allorquando la nonna avesse provato di essersi fatta assistere da uno psichiatra di sua fiducia dando continuità alle cure, anche in forma libera".
La Corte d'appello di Milano, a seguito del reclamo presentato dai tre, in particolare sull’obbligo per la nonna di sottoporsi a visita psichiatrica, “condivideva le valutazioni del primo giudice in ordine alla possibilità di dar corso agli incontri richiesti, essendo stato accertato, all'esito della consulenza tecnica d'ufficio svolta dal tribunale, che non sussiste[va] un reale pregiudizio” per i minori “nel passare del tempo con i nonni e lo zio paterni apparsi in corso di CTU sinceramente legati ai nipoti”. Ma sottolineava che “la vera questione irrisolta riguardava l'incapacità - dimostrata in particolare dalla nonna paterna e dalla madre dei minori, a causa dei rispettivi limiti caratteriali - di superare le incomprensioni, le svalutazioni e le aggressività reciproche manifestatesi nel passato”.
La Corte d’Appello, riteneva che non fosse utile mantenere la prescrizione per la nonna di rivolgersi a uno psichiatra, mentre riteneva che occorreva, far maturare “nei genitori la consapevolezza del danno psichico cui espongono i loro figli, costretti a vivere privati di affetti che possono arricchirli, in un clima indotto di paura e di rancore persistente che certamente è di pregiudizio per una armoniosa crescita psichica dei bambini”. Veniva quindi revocata la prescrizione alla nonna paterna e si invitavano “tutti gli adulti coinvolti nella vicenda a intraprendere un percorso guidato di terapia familiare allargata, onde evitare ogni pregiudizio al benessere dei minori”, sotto vigilanza dei servizi sociali regolamentando “gli incontri con i nonni e lo zio paterni, inizialmente in spazio neutro o con la presenza di un educatore e con facoltà di un successivo ampliamento in assenza di un loro pregiudizio”.
Ma la Cassazione ha ribaltato tutto sottolineando in particolare che non basta “l'insussistenza di un reale pregiudizio nel passare del tempo con nonni e zio” per imporre la frequentazione, piuttosto bisogna accertare se gli ascendenti sanno “prendere fruttuosamente parte attiva alla vita dei nipoti attraverso la costruzione di un rapporto relazionale ed affettivo e in maniera tale da favorire il sano ed equilibrato sviluppo della loro personalità”. Quindi, nessuna costrizione ma semmai, “l’arsenale da predisporre, secondo la giurisprudenza europea, per la tutela del diritto degli ascendenti, consiste nell'individuazione di strumenti 'soft' di modulazione delle relazioni che sappiano creare spontaneità di relazione con i minori piuttosto che imporre rapporti non desiderati”.