CAOS ALLEANZE

Un’alleanza si salda e l’altra si sfalda. Sono giorni complicati per il segretario dem, Enrico Letta: prima ha dovuto corteggiare un riottoso Calenda, e ora si ritrova a gestire la grana di una sinistra stufa degli insulti del leader di Azione e tentata dalla fuga. Bonelli e Fratoianni non ci stanno Rinviato il faccia a faccia con il Pd

«Profondo disagio nell’elettorato di centrosinistra che ha a cuore la difesa della democrazia, la giustizia climatica e sociale», dicono i leader di Verdi e Si

È stato rinviato l’incontro che avrebbe dovuto svolgersi nella giornata di ieri tra il segretario nazionale del Pd Enrico Letta e i vertici di Verdi e Sinistra Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni.

Il motivo del rinvio voluto da Si e Verdi è stato determinato dall’intesa raggiunta tra Pd e Azione che, secondo i due partiti, avrebbe cambiato notevolmente le condizioni politiche dell’alleanza.

«Registriamo comunemente un profondo disagio nel Paese e in particolare nel complesso dell’elettorato di centro- sinistra che ha a cuore la difesa della democrazia, la giustizia climatica e sociale – hanno spiegato Fratoianni e Bonelli - Essendo cambiate le condizioni su cui abbiamo lavorato in questi giorni, sono in corso riflessioni e valutazioni che necessitano di un tempo ulteriore». Oltre ad alcuni punti programmatici che non vanno giù all’ala sinistra dell’alleanza, a partire dai rigassificatori, è proprio la gestione complessiva a non convincere. Il diritto di tribuna che era stato offerto dal Pd inizialmente è stato immediatamente rimandato al mittente, ma anche la visione di Calenda legata ad una coalizione che si fonderebbe su due frontman ( Letta e lo stesso Calenda) calza stretta a Verdi e Si. I partiti di Fratoianni e Bonelli vorrebbero un solo garante per la coalizione da individuarsi nel segretario dem Enrico Letta. Nonché, come ha chiaramente detto Fratoianni in più occasioni, vorrebbero che sparisse dal programma comune ogni accenno all’agenda Draghi, considerando che i due partiti hanno fatto un’accesissima opposizione al governo guidato dall’ex presidente della Bce.

L’intesa raggiunta tra Pd e Azione, dunque, rischia adesso di compromettere i rapporti con le forze a sinistra che potrebbero decidere di sfilarsi. Letta attenderà gli sviluppi e proverà nuovamente a mediare, ma la preoccupazione è legata soprattutto alle sirene che sono state immediatamente azionate da Giuseppe Conte che ha aperto ad un possibile accordo con Verdi e Si. «Con le persone serie che vogliono condividere l’agenda sociale con noi c’è sempre la possibilità di farlo» ha detto l’ex premier ad Agorà rispondendo proprio in ordine alla possibilità di un dialogo con Bonelli e Fratoianni. La “cosa rossa”, insomma, torna a diventare un incubo per i dem e per il suo segretario che dovrà tenere a bada anche l’ala sinistra del suo partito che aveva messo in guardia sui possibili rischi di un accordo con Carlo Calenda in ordine ad uno sbilanciamento eccessivo verso il centro dell’azione politica del Pd. Un rischio che diventa sempre più concreto, mano a mano che Azione continua a riempirsi dei governisti di Forza Italia che stanno abbandonando il partito di Silvio Berlusconi. Dovesse arrivarsi davvero alla rottura, inoltre, oltre ad una difficile gestione dei rapporti interni ai dem, soprattutto con l’area ex Ds, per Enrico Letta ci sarebbe da fare i conti anche con un certo numero di seggi in meno, sicuramente più di una decina stando alle stime dei principali istituti di sondaggio, che andrebbero in direzione della “cosa rossa” o, ancora peggio, del cen-trode-stra.

E allora, nuovamente, gli sherpa di Enrico Letta sono al lavoro per capire quali margini ci siano per evitare una rottura che potrebbe smontare il peso dell’intesa raggiunta con Calenda da un lato e dell’altro provocare una pericolosa alleanza alla sinistra del Pd in grado di erodere consenso e condizionare la prossima campagna elettorale.

La rottura con Italia viva di Matteo Renzi, invece, dopo le tensioni delle ultime ore è da considerarsi ormai irrecuperabile. Lo si era già capito dai commenti a caldo dei bi del partito subito dopo la chiusura dell’accordo tra Letta e Calenda, ma Matteo Renzi ha rincarato la dose il giorno dopo. «Il Pd ha proposto anche a noi il diritto di tribuna, ma ho lasciato il Pd perché non condividevo le idee di quel gruppo dirigente. Io non mi faccio adesso candidare da quel partito per salvare una poltrona. Le idee valgono più dei posti. Per me la politica è un ideale, non un centro per l’impiego. E a chi mi chiede se useremo il diritto di tribuna rispondo: mi chiamo Matteo Renzi, io, non Luigi Di Maio. Meglio rischiare di perdere il seggio che avere la certezza di perdere la faccia».