«Questo processo non rimarrà chiuso nelle stanze di un Tribunale, ma è destinato a segnare il percorso futuro della psicoterapia». È durata quattro ore e mezza la prima parte dell’arringa dell’avvocato Luca Bauccio, difensore di Claudio Foti nel processo d’appello Angeli& Demoni. L’accusa, nella scorsa udienza, ha chiesto la conferma della condanna rimediata in primo grado per lo psicoterapeuta fondatore della onlus Hansel & Gretel, al quale il gup di Reggio Emilia ha inflitto, a novembre 2021, 4 anni per lesioni gravissime e concorso in abuso d’ufficio.

Condanna che l’ufficio di procura ha chiesto di inasprire, chiedendo una pena anche per il reato di frode processuale, per il quale in primo grado Foti è stato assolto. Bauccio è però convinto che nulla di quanto stabilito dalla sentenza di primo grado abbia fondamenta solide.

A partire dal tema più complesso - sul quale il difensore concluderà il suo intervento il 21 aprile -, quello relativo al disturbo borderline che Foti avrebbe provocato con dolo, con la sua terapia, su una 17enne in cura. «La sentenza manca persino della definizione della malattia per la quale il dottor Foti è stato condannato - spiega Bauccio -. Una malattia di cui nessuno, nel processo, sa nulla, tranne noi che l’abbiamo spiegata.

La sentenza ignora cosa sia il disturbo borderline, così come la depressione associata ad ansia; ne ignora l’eziopatogenesi, così come le consulenze del pm, che non dicono una sola parola sul punto. Una situazione aberrante che merita di essere risolta. Non c’è definizione né spiegazione scientifica del nesso causale, che infatti è smentito da tutti gli studi esistenti sul tema». È infatti difficile, scientificamente, sostenere che una psicoterapia possa provocare un simile disturbo, che ha la sua genesi in età infantile. «Abbiamo analizzato le consulenze e abbiamo dimostrato questo vuoto di sapere scientifico che ha portato ad inventare un’imputazione che è più un racconto, avulso dalla realtà, con una sua perfezione circolare ma una totale refrattarietà alla falsificazione - continua Bauccio -, che è il procedimento obbligato per verificare se una tesi è fondata o meno». Il difensore porterà in aula anche il manifesto firmato per ora da 130 psicoterapeuti, che contestano il metodo con il quale si è giunti alla diagnosi di disturbo borderline e depressione associata ad ansia; nonché la sentenza cardine in questa materia, ovvero la Cozzini, che spiega chiaramente i principi che devono ispirare il lavoro dell’interprete, del giudice e dei periti quando vi è un conflitto tra tesi scientifiche.

Quella sentenza, infatti, stabilisce alcuni paletti: bisogna innanzitutto verificare «se presso la comunità scientifica sia sufficientemente radicata, su solide ed obiettive basi, una legge scientifica in ordine all’effetto di una determinata azione nel determinare lesioni personali o morte di un soggetto»; in caso di risposta affermativa, «occorrerà determinare se si sia in presenza di legge universale o solo probabilistica in senso statistico» ; nel caso in cui la generalizzazione esplicativa sia solo probabilistica, «occorrerà chiarire se l’effetto causale si sia determinato nel caso concreto, alla luce di definite e significative acquisizioni fattuali».

Si tratta di un vademecum «imprescindibile - aggiunge Bauccio -. Nel caso di specie, il tradimento di questi principi è plateale. Questo non è un processo destinato a rimanere chiuso negli archivi del Tribunale, perché verrà studiato e valutato non solo dai giuristi, ma anche dagli studiosi e indicherà una strada. Anche il manifesto scaturisce proprio da questo: gli psicoterapeuti che l’hanno firmato si interrogano sul futuro del loro lavoro e della loro libertà di cura. C’è stata un’invasione di campo, di natura anche politica, della sfera dell’autonomia, della libertà terapeutica. Una libertà anche di comunicazione e dialettica che lega le persone in un vincolo come quello tra medico e paziente, sacerdote e fedele, maestro e discente. La pretesa di entrare in quel mondo e giudicarlo, di sviscerarlo con paradigmi che sono dettati soltanto da una tesi preconcetta e accusatoria - prosegue Bauccio - è una pretesa abusiva, perché non si poggia su punti di riferimento certi, misurabili. La sfida è grande, ma confido in questi giudici, che sono stati - e lo dico senza retorica - molto attenti e molto rispettosi dei diritti della difesa».

Bauccio ha anche affrontato il tema dell’abuso d’ufficio, ricostruendo tutto l’iter amministrativo che aveva portato alla coprogettazione e agli incarichi ricevuti da Foti a Bibbiano. Un iter «del tutto ignorato dall’accusa e anche dalla sentenza di primo grado. Abbiamo criticato e dimostrato anche l’infondatezza della frode processuale conclude -, che non aveva nessuna base: Foti non ha mai rivolto al Tribunale dei minori alcuna richiesta, né sollecitato decisioni. Ha solo curato la sua paziente».