«L'integrazione del reato richiederà che il giudice accerti in concreto, alla stregua di una valutazione da effettuarsi complessivamente, la sussistenza degli elementi di fatto, (il contesto ambientale, la eventuale valenza simbolica del luogo di verificazione, il grado di immediata, o meno, ricollegabilità dello stesso contesto al periodo storico in oggetto e alla sua simbologia, il numero dei partecipanti, la ripetizione insistita dei gesti, ecc.) idonei a dare concretezza al pericolo di 'emulazione', insito nel reato secondo i principi enunciati dalla Corte costituzionale». Lo scrivono i giudici della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nelle motivazioni della sentenza del 18 gennaio, dove hanno rinviato gli atti alla corte d'Appello di Milano, di otto militanti di estrema destra che avevano mimato il saluto romano, durante una commemorazione che si tenne a Milano nel 2016, in occasione dell'anniversario della morte di Sergio Ramelli.

Gli otto imputati vennero assolti durante il processo di primo grado del 2020 perché secondo il giudice mancava l'elemento soggettivo.

La Corte d'Appello invece, li condannò nel 2022. Sottolineano ancora gli alti magistrati: «Va peraltro escluso che, di contro, come sostenuto dalle difese dei ricorrenti, la caratteristica “commemorativa” della riunione possa rappresentare fattore di neutralizzazione degli altri elementi e, quindi, di “automatica” insussistenza del reato, attesi il dolo generico caratterizzante la fattispecie e la irrilevanza dei motivi della condotta» che se «tenuta nel corso di una pubblica riunione, consistente nella risposta alla “chiamata del presente” e nel cosiddetto saluto romano integra il delitto previsto dall'art. 5 della legge Scelba» o «il delitto, di pericolo presunto, previsto dalla legge Mancino» che riconosce «tra i loro scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».