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LUCA PALAMARA EX MAGISTRATO
La storia degli scandali giudiziari sull’asse Roma-Perugia potrebbe essere riscritta. Al centro di questo nuovo capitolo c’è il procuratore generale di Perugia, Sergio Sottani, che ha appena chiuso un’indagine a carico di Piero Amara, già avvocato esterno di Eni e attualmente detenuto a Spoleto, con un’accusa non nuova: calunnia. Amara, infatti, ha già a suo carico diversi procedimenti, dopo le dichiarazioni fatte sui vari affiliati della mai dimostrata Loggia Ungheria.
Ma questa volta le vittime delle sue accuse sono due nomi chiave della recente crisi della magistratura italiana: Luca Palamara e Stefano Rocco Fava. Entrambi erano finiti al centro di un’indagine che all’epoca deflagrò sui media con il marchio della corruzione e della rivelazione di segreto, in uno scontro frontale con l’allora procuratore Giuseppe Pignatone perso dai due magistrati caduti in disgrazia. Poi però le contestazioni si ridimensionarono: Palamara patteggiò per traffico di influenze, mentre a Fava fu contestato l’accesso abusivo al sistema informatico. Soprattutto, fu smentita clamorosamente l’ipotesi di un dossieraggio ai danni di Pignatone, che costò a Fava il trasferimento da Roma e una pesante macchia sul curriculum.
Ma ora un dettaglio cambia tutto: secondo la Procura generale di Perugia, Amara avrebbe mentito. E lo avrebbe fatto scientemente, sapendoli innocenti. Il fascicolo contro Amara non è rimasto fermo a Perugia: dal capoluogo umbro il procuratore Raffaele Cantone lo aveva spedito a Terni — dove Amara era detenuto nel momento in cui aveva reso dichiarazioni — ed è stato successivamente avocato da Perugia. Le motivazioni, fanno sapere fonti giudiziarie, restano coperte da segreto. Tuttavia, la decisione non è banale: ha permesso alla Procura generale di rimettere mano a una vicenda che sembrava archiviata, con potenziali ricadute anche davanti al Consiglio superiore della magistratura, dove gli atti sono stati inviati per prassi. Lo stesso Consiglio superiore che ha deciso di radiare Palamara dalla magistratura.
Secondo l’atto d’accusa firmato da Sottani e dal sostituto Paolo Barlucchi, Amara avrebbe falsamente dichiarato che Palamara — allora membro del Csm — avesse accettato, nel 2015, da un altro magistrato la promessa di un orologio da 30.000 euro in cambio di un voto favorevole in sede disciplinare. In realtà, Palamara, “pur avendo intuito il motivo dell’incontro richiesto, si era rifiutato di parlarne”. Non solo: Amara aveva raccontato che, tramite il faccendiere Fabrizio Centofanti, Palamara avesse convinto un giudice della Cassazione a garantire l’assoluzione di quel magistrato. Versione smentita dalle indagini.
Anche l’episodio del fine settimana al Sestriere, che coinvolgeva Ezio Bigotti e Barbara Bonino in un presunto tentativo di influenzare la scelta di un arbitro a Milano, si è rivelato inconsistente: il magistrato scelto fu imparziale e immune da condizionamenti. Ma la ricostruzione di Amara andava ben oltre Palamara. In una deposizione come imputato connesso al processo a Perugia contro Palamara e Fava, aveva sostenuto che quest’ultimo avesse cercato di “colpire” il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, orchestrando un’inchiesta contro Fabrizio Centofanti, in virtù dei suoi rapporti col fratello del procuratore. Avrebbe inoltre accusato Fava di aver cercato e trovato documentazione contro il fratello di Pignatone, cosa che secondo gli atti risulta invece regolarmente acquisita da un’altra procura.
Ancora più gravi le accuse secondo cui Fava avrebbe rivelato segreti d’indagine a Palamara, che a sua volta li avrebbe trasmessi a Centofanti. Ma tutte queste accuse, sostiene ora la Procura generale, sono risultate false. E sarebbero state inventate da Amara con l’obiettivo di costruire un racconto che incastrasse i magistrati coinvolti. In questo schema rientrerebbero, dunque, anche le parole che finirono nella richiesta di archiviazione della Loggia Ungheria, laddove si aprivano ipotesi di reato per corruzione a carico di Palamara.
Sulla base di quelle accuse, l’ex capo dell’Anm fu sottoposto a un duro interrogatorio il 14 giugno 2022, durante il quale gli vennero contestate ipotesi che definì subito surreali ma che la procura aveva preso per buone. Consapevole della falsità, dunque, annunciò di essere costretto a denunciare tutti per calunnia. L’accusa di corruzione era coperta da segreto, pur se contenuta in una richiesta di archiviazione, ma nel giro di poco tempo la vicenda finì sui giornali: Repubblica e Corriere della Sera pubblicarono l’ipotesi del tentativo di avvicinamento del giudice Cassazione.
Un «avvicinamento che, grazie alla schiena dritta del magistrato indicato, non portò alcun risultato positivo», scriveva il Corriere. Un particolare, quello sull’integrità del giudice, che non compare nelle stesse dichiarazioni di Amara ma che qualcuno deve aver riferito al giornalista. La fuga di notizie fece infuriare Cantone e così a Perugia partì un’indagine interna per individuare la “talpa” responsabile dell’invio degli atti ai giornalisti. Il procuratore Cantone, pur dichiarando l’ufficio “parte lesa”, preferì non inviare gli atti a Firenze (competente sui reati compiuti o subiti dai magistrati di Perugia) e indagò direttamente. Alla fine, a pagare fu un funzionario, Raffaele Guadagno, ma non per i leak a Repubblica o al Corriere, bensì per l’invio della richiesta di archiviazione al Fatto Quotidiano, che pubblicò un articolo sulle false accuse di Amara contro Giuseppe Conte. Guadagno, alla fine, patteggiò, per motivi di salute. Ma nessun invio ai giornalisti fu mai materialmente provato.
Nel frattempo, la difesa di Amara prova a ricostruire una narrazione alternativa. Gli avvocati dell’imputato, come riporta La Verità, fanno sapere che «l’avvocato Amara non ha mai accusato né di corruzione, né di istigazione alla corruzione il dottor Luca Palamara». Un’affermazione che ribalta l’impianto di molte delle inchieste avviate nel 2019, quando le indagini a carico di Palamara finirono sui principali quotidiani ribaltando gli equilibri di potere dentro il Csm e impedendo a Marcello Viola di diventare procuratore di Roma. E oggi lo stesso “super teste” smentisce di aver detto quanto gli era stato attribuito. Insomma, una vicenda che, a ogni passo, sembra riscrivere la storia recente della magistratura italiana. E mettere in discussione anche l’addio di Palamara alla toga.