Otto misure cautelari nei confronti di altrettanti appartenenti alla Polizia Penitenziaria in servizio nella casa circondariale «G. Panzera» di Reggio Calabria sono state eseguite dalla Polizia di Stato, su delega della locale Procura della Repubblica di diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri. A sei degli indagati è stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari, mentre per gli altri due la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio. Agli indagati, sono contestati i reati di tortura e lesioni personali aggravate ai danni di un detenuto dell’istituto penitenziario ove prestano servizio. Al comandante del Reparto, che figura tra gli indagati ed al quale è stata applicata la misura degli arresti domiciliari, vengono contestati anche i reati di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico, di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico per induzione, di omissione d’atti d’ufficio, di calunnia e tentata concussione. Oltre ai destinatari delle misure cautelari, sono sottoposti ad indagine ulteriori 4 poliziotti penitenziari, ai quali viene contestato il reato di tortura e lesioni personali in concorso, per i quali il gip si è riservato di valutare la richiesta di applicazione della misura cautelare interdittiva formulata dalla Procura all’esito dell’interrogatorio, ed il medico dell’istituto penitenziario, indagato per il reato di depistaggio, per aver reso false dichiarazioni al Pubblico Ministero, per il quale il Gip, sempre all’esito dell’interrogatorio, valuterà la richiesta di applicazione della misura della sospensione dalla professione medica. I fatti contestati agli indagati risalgono al 22 gennaio scorso ai danni di un solo detenuto, che aveva messo in atto una protesta, rifiutandosi di far rientro nella cella dopo aver usufruito del previsto passeggio esterno.

Torture e lesioni a un detenuto di Reggio Calabria, indagini partite dai familiari

Le indagini, affidate dalla Procura di Reggio Calabria, sono state avviate dopo la denuncia sporta dai familiari di alcuni detenuti, tutti di origine campana, a cui le persone recluse, nel corso di colloqui telefonici, avevano riferito di essere stati malmenati all’interno del carcere. I successivi approfondimenti investigativi, anche attraverso l’escussione dei reclusi da parte del Pubblico Ministero titolare delle indagini, avevano permesso già in una prima fase di circoscrivere ad un solo detenuto le condotte violente, così come poi confermato dalla visione e analisi delle telecamere interne dell’istituto di pena. Secondo l’accusa, «le gravi condotte contestate sono ascrivibili alla responsabilità personale solo di alcuni appartenenti alla Polizia Penitenziaria, che presta servizio all’interno della struttura penitenziaria in questione con abnegazione, sacrificio e senso del dovere, e con pieno rispetto dei diritti e della dignità dei detenuti ivi ristretti».