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Uno studio pubblicato dal “Mulino” spiega che lo scorso anno i disoccupati hanno votato in massa il Movimento 5 Stelle. E pur di conservare la propria base elettorale, Luigi Di Maio non esita a creare le condizioni perché il numero di disoccupati non diminuisca; anzi, aumenti. Come a dire: ho talmente a cuore le sorti dei disoccupati che ne voglio sempre di più.
Ha iniziato con il “decreto dignità”, rendendo così sempre più difficile per le imprese assumere personale. Non risolve una, dicasi una, delle 180 crisi aziendali in discussione al ministero per lo Sviluppo economico. A partire dall’Ilva di Taranto. E da ultimo scaglia anatemi contro Atlantia (“un’azienda decotta”) fino al punto di immaginare che un ingresso dei Benetton nel capitale di Alitalia possa affondare la compagnia aerea; senza contare che l’Alitalia ha ricevuto un prestito da 900 milioni dallo Stato, per oltre la metà esaurito, altrimenti avrebbe già portato i libri in Tribunale.
Qualcuno dovrebbe ricordare al “tre poltrone” Di Maio che uno dei dicasteri che dovrebbe guidare si chiama Ministero per lo Sviluppo economico. Cioè, il dicastero che dovrebbe favorire la crescita del pil in Italia. E che se l’Italia è il secondo paese manifatturiero d’Europa, vuol dire che una fetta importante dello sviluppo viene creato dall’Industria.
Tra l’altro, quel ministero è dirimpettaio di un altro, guidato sulla carta sempre da Di Maio, che si chiama Ministero del Lavoro. Cioè, dovrebbe creare le condizioni per aumentare l’occupazione. Ma se aumentano gli occupati, il leader M5S s’è convinto di perdere parte della propria base elettorale che lo ha votato un anno fa (come dice lo studio del Mulino). Di conseguenza, il nostro sta facendo di tutto per aumentare il numero di disoccupati.
Luigi, però, si trova in mezzo al guado. Sa benissimo che se ha fatto raccolta dei voti dei senza lavoro un anno fa, c’è riuscito con la promessa di distribuire 780 euro a tutti. Il problema ( per lui) è che buona parte di quelli che hanno fatto domanda di reddito di cittadinanza o non sono stati ammessi all’assegno oppure lo hanno visto nettamente inferiore. Da qui, i risultati deludenti alle Europee.
Così, Di Maio torna allo studio del Mulino: meglio creare nuovi disoccupati. Magari, poi, in campagna elettorale si può inventare qualche altra promessa. Ha già provato ad accennarla con la riforma fiscale concentrata sugli sgravi fiscali legati al nucleo familiare. Una soluzione impossibile da un punto di vista tributario. Ma che risponde appieno all’identikit dell’elettore pentastellato: disoccupato e magari con qualche figlio a carico.
Ed il “tre poltrone” s’è messo al lavoro per riconquistare quel voto. Tuona da Genova. ' Se qualcuno vuole stare dalla parte di Atlantia o degli indiani di Mittal, che ricattano lo Stato chiedendo un'immunità penale per scudarli dalle responsabilità, dico che sto dalla parte dei lavoratori e dei cittadini. Non staremo mai dalla parte delle multinazionali che ricattano lo Stato. Ma troveremo soluzioni di buonsenso'. E, moderno “Maduro de noartri” sentenzia: il governo ' non sarà mai dalla parte delle multinazionali'.
Sarebbe auspicabile che qualcuno spieghi a Di Maio che Atlantia è un’azienda quotata. E che, per prudenza istituzionale, sarebbe preferibile che i commenti su imprese quotate avvenissero a Borsa chiusa. Forse è chiedere troppo a chi ha un lavoro fisso e ben retribuito solo perché parlamentare della Repubblica.
Tant’è che devono scendere in campo i sindacati per ricordare al “tre poltrone” ( due ministeri ed una vice presidenza del consiglio) i compiti di un ministro. In una nota congiunta, i sindacati confederali ricordano che ' Procurare con dichiarazioni senza senso la crisi di una grande azienda come Atlantia, finanziariamente e industrialmente sana, quotata in Borsa e certamente non decotta equivale anche a mettere a repentaglio le condizioni di migliaia di lavoratrici e lavoratori che quotidianamente vi operano con grande professionalità, assicurando la circolazione a milioni di auto e camion, da Nord a Sud del Paese'. Ma così torniamo al punto di partenza: creare disoccupati significa – per Di Maio – allargare la base elettorale dei Cinque stelle. E si sta impegnando a tal punto che per spiegare il pastrocchio dell’Ilva di Taranto ha voluto tutti i ministri pentastellati nella Città dei Due Mari. Forse andrebbe ricordato che nell’idea originaria di Beppe Grillo le acciaierie dovevano essere chiuse ed al loro posto sorgere parchi giochi sul modello Disneyland. Con buona pace delle decine di migliaia di persone che vi lavorano. Almeno fino a settembre, quando gli indiani della Arcelor, stanchi delle promesse non mantenute da Di Maio, decideranno di chiudere l’altoforno. Aumentando così la platea di disoccupati. Musica per le orecchie di Luigi. Peccato che, insieme allo studio del Mulino su chi lo ha votato, il leader M5S non abbia letto anche altri documenti che certificano la volatilità dell’elettorato italiano. Come dire: i voti cambiano i disoccupati restano.