L’esperienza inglese ha mostrato come il controllo elettronico con braccialetti e cavigliere non abbia prodotto effetti di deflazione penitenziaria, ma abbia piuttosto contribuito alla crescita complessiva del numero di persone soggette a controllo penale. Così scrive Antigone nel suo XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione, partendo dalla domanda sull’effettiva capacità delle forme di controllo elettronico di incidere significativamente sulle presenze in carcere.

Come spiega Antigone nella premessa, il braccialetto elettronico può venire impiegato in diversi modi come strumento di controllo all’interno del sistema penale. Può venir imposto dal magistrato a persone che si trovano in misura cautelare agli arresti domiciliari oppure a persone già condannate che stanno scontando la pena in detenzione domiciliare. All’interno di quest’ultimo insieme, può essere prescritto come controllo continuativo, anche durante la permanenza in casa, oppure da indossare solamente in quei momenti della giornata in cui la persona ha il permesso di allontanarsi dall’abitazione. «Se guardiamo alla sola esecuzione della pena in detenzione domiciliare, dal 2014 al 2021 sono stati 5.625 complessivamente (ovvero in entrambe le forme sopra menzionate) i provvedimenti con controllo elettronico», scrive Antigone.

Una vera impennata si registra nel 2020 (quando si passa a 2.605 provvedimenti dai 251 del 2019), anno nel quale il decreto cosiddetto Cura Italia per far fronte all’emergenza sanitaria ha ampliato – seppur con molte cautele, precisa Antigone – la possibilità di accesso alla detenzione domiciliare con l’ausilio del controllo elettronico, promettendo di mettere a disposizione circa 5.000 dispositivi, di cui 920 immediatamente. Già in calo i numeri del 2021, che vedono 1.897 applicazioni.

Nel complesso, osserva Antigone nel rapporto – «possiamo dire che il braccialetto ha forse favorito la concessione di qualche centinaio di provvedimenti di uscita dal carcere, ma di certo non ha prodotto effetti deflattivi su larga scala». Per quanto riguarda invece le imposizioni del braccialetto elettronico durante la misura cautelare degli arresti domiciliari ex art. 284 e art. 275- bis (introdotto dal decreto legge 341/ 2000, convertito dalla legge 4/ 2000) del codice di procedura penale, esse sono state 2.618 nel 2020, 2.753 nel 2019 e 2.840 nel 2018. Una percentuale che si attesta intorno al 3% del totale delle misure cautelari coercitive in Italia e al 12% del totale degli arresti domiciliari.

L’altro tema è sui costi, che interroga intorno alla convenienza ed effettività della misura. Dopo alcune traversie iniziali con Telecom e costi elevatissimi, nel 2018 a seguito di una procedura di gara europea Fastweb si è aggiudicato l’appalto per fornire nel triennio 2018- 2021 circa 1.000 braccialetti al mese per una cifra di circa 23 milioni di euro complessivi. In realtà le attivazioni sono state ben inferiori, ma ciò – forse - sarebbe dipeso dalle decisioni delle autorità giurisdizionali competenti. Oltre ai numeri effettivi dei braccialetti attivati, abbiamo indicazioni intorno all’efficacia del braccialetto elettronico, quali dati sulle violazioni della misura e sulla recidiva? La riposta è no, per mancanza di trasparenza.

Non aiuta a tal fine una risposta del Ministero degli Interni, Direzione Centrale dei Servizi Tecnico- Logistici e della Gestione Patrimoniale, che di fronte a una domanda di accesso civico generalizzato promossa da Antigone non ha voluto fornire le informazioni richieste. Si legge nel rapporto che Antigone aveva chiesto di conoscere il numero di dispositivi elettronici attualmente a disposizione dell’Autorità giudiziaria, il numero di quelli attualmente in utilizzo per provvedimenti di arresti domiciliari e di detenzioni domiciliari, il numero di dispositivi non funzionanti, eventuali manomissioni o trasgressioni della misura del braccialetto elettronico, il numero di braccialetti elettronici utilizzati per il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Il Ministero ha negato le informazioni sostenendo che la pubblicazione delle stesse avrebbero configurato un «pregiudizio concreto alla tutela degli interessi- limite inerenti alla sicurezza pubblica e all’ordine pubblico tutelati dall’articolo 5- bis, comma 1, lettera a) del "decreto trasparenza"».

Anche Il Dubbio, a suo tempo, aveva richiesto i dati per l’inchiesta sui braccialetti elettronici: nessuna risposta. Antigone osserva che non è affatto facile intravedere un legame tra i dati richiesti e i motivi di sicurezza addotti. «Una risposta dunque del tutto non convincente, che sembra configurare solamente un’inutile mancanza di trasparenza», denuncia l’associazione nel rapporto.