A Marco Travaglio si dovrebbe persino voler bene. Nel senso che se non esistessero la sua creatura e i suoi editoriali, chissà se sarebbe mai nato il nostro giornale. E poi comunque, fuori dalle provocazioni, molto meglio se il giustizialismo schiera un “organo politico” dichiarato e sfrontato, anziché le versioni riduzioniste ammantate di eleganza radical.

Ciò detto, se il direttore del Fatto quotidiano sente la necessità di ricordare, a proposito dell’indagine sul covid della Procura di Bergamo, che i pm dovrebbero limitarsi ad accusare qualcuno, possibilmente per condotte contrarie agli obblighi di legge, anziché proporre valutazioni scientifiche e sociologiche (come invece pretende il procuratore Chiappani...), be’, vuol dire che nella dialettica fra giustizia mediatica e diritto liberale qualcosa è cambiato davvero.

È presto per dire se potremo lasciarci alle spalle il trentennio nero della giustizia, inaugurato con Mani pulite. È presto perché, nonostante i segnali incoraggianti (che, non ce ne voglia Travaglio, sono arrivati anche grazie a Marta Cartabia, per esempio con le norme sulla presunzione d’innocenza, concepite proprio per limitare la mediaticità dei magistrati), persistono scorie allarmanti. Non si riesce a superare, per dire, il riflesso condizionato tipico del processo mediatico per cui, se in una vicenda come Rigopiano la sentenza non assomiglia alle attese suscitate, nei familiari delle vittime, dai talk show (e da qualche eccesso nelle ipotesi d’accusa), il giudice rischia il linciaggio in aula.

Il recente, increscioso caso al Tribunale di Pescara non si spiega solo con la disperazione di chi ha perso a Rigopiano un figlio o un coniuge, ma anche con le illusioni a buon mercato propalate negli anni precedenti dalla stampa. Eppure la vicenda ha lasciato intravedere un barlume di luce in fondo al tunnel. Intanto perché proprio nella magistratura si fa avanti uno spirito diverso, un allarme per i rischi a cui molti giudici, appunto, sono esposti. Ne deriva la necessità, avvertita dall’Anm e dalle sue correnti, come ha chiarito il laico Csm Marcello Basilico in un’intervista al Dubbio, di spiegare agli italiani come funziona davvero un processo. Se a questo si aggiunge l’intervento di Travaglio sull’indagine bergamasca (magari sollecitato dall’idea che le accuse a Giuseppe Conte siano ingiuste), si vede come la “redenzione” del sistema possa realizzarsi a partire proprio dalle due componenti che lo hanno stressato: la magistratura, nei suoi cedimenti al protagonismo, e i media, nel cinismo con cui li ha incoraggiati. Peseranno pure, le visioni “di parte”, ma il traguardo di una giustizia più civile e meno drogata dallo show sarà benedetto per qualunque via ci si arrivi.