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Di certo nessuno avrà difficoltà ad ammettere che quella del ministro Guido Crosetto è una voce pacata e libera. Crosetto è da sempre molto vicino a Giorgia Meloni senza mai condividere le sue (ormai rare) sbandate sovraniste e populiste. Per alcuni è addirittura una riserva della Repubblica, e non a caso nell’ultima elezione presidenziale ha preso 114 voti, 51 in più dei grandi elettori del suo partito.
Insomma, è un uomo delle istituzioni, Crosetto. E quando dice di essere preoccupato per alcune “tendenze” della magistratura, faremmo bene a credergli invece di gridare allo scandalo. Solo un cieco può infatti negare che la magistratura italiana abbia rotto l'argine che la separa dalla politica. E del resto sono proprio loro, i magistrati, che rivendicano esplicitamente il ruolo politico della loro funzione: «Dobbiamo uscire dalle aule dei tribunali e partecipare al dibattito pubblico», era scritto nero su bianco nel documento finale del congresso di Area Dg, la corrente di sinistra delle toghe. E poi: «Toccherà a noi tenere accesa la luce quando il buio si farà più fitto».
Nulla di nuovo, per carità. Sono trent’anni buoni che la nostra magistratura, col silenzio complice della politica, sì è auto assegnata il ruolo di guida morale del Paese. Una postura al limite del sovversivismo che ha provocato un pericoloso smottamento del nostro sistema giudiziario. Le toghe hanno conquistato sempre più luoghi di potere rosicchiando la sovranità e l’indipendenza della politica. Un dato su tutti: sono almeno 200 i magistrati fuori ruolo, molti dei quali “frequentano” gli uffici del ministero della giustizia.
Si tratta di una sorta di occupazione militare nei punti chiave in cui i testi legislativi prendono forma e corpo. Ecco, quella massiccia presenza di toghe negli uffici di via Arenula è la prova che siamo di fronte a una magistratura che ha una sfrenata ambizione politica e che le “grida” di Crosetto sono tutt’altro che infondate.