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«Abbiamo ad esempio il centro clinico, fiore all’occhiello della sanità penitenziaria, del carcere di Pisa. Potevano mandarli lì, invece di scarcerarli!». Mentre ieri è morto l’ennesimo detenuto per Covid 19 al carcere di Bologna ( il quarto in totale), tuonano più voci da parte di chi, come Massimo Giletti di “Non è L’Arena, si improvvisa profondo conoscitore del sistema penitenziario.
In effetti il carcere “Don Bosco” di Pisa è stato uno dei primi ad aprire un centro clinico al suo interno, tanto da diventare – soprattutto grazie all’operato dell’allora dirigente medico Francesco Ceraudo – il più importante d’Europa. Ora il centro clinico, così come i pochi altri, viene definito con l’acronimo Sai che sta per Servizio di assistenza intensiva. Ma può sobbarcarsi i detenuti malati di mezzo Paese? Il Dubbio ha contattato il garante dei detenuti del carcere di Pisa, l’avvocato Alberto Marchesi. «È sicuramente uno dei primi, e più vecchi, centri clinici che sono entrati in funzione nel nostro Paese. Possiamo dire che da mezzo secolo visto che è nato negli anni 70, quello che era all’avanguardia assoluta, oggi dà un servizio sicuramente accettabile e superiore alle altre carceri».
Ma l’avvocato Marchesi ci introduce al tema generale della sanità penitenziaria «che è molto indietro rispetto all’istanza che era stata prefissata dalla riforma del 2008, ovvero che sia allo stesso livello del Servizio sanitario nazionale per i cittadini liberi». Ma quindi la struttura di Pisa è adatta per ospitare chiunque? «Ora non so che tipo di patologia avessero i detenuti del 41 bis che sono andati in detenzione domiciliare – osserva il Garante – ma il nostro centro clinico non può essere adeguato per tutte le patologie, partendo anche dal fatto che da noi non è un luogo di lunga degenza». Ma non solo. Il Garante sottolinea un aspetto non secondario, ovvero che recentemente è risultato che tre sanitari ( un medico e due infermieri) del centro clinico sono stati contagiati dal Covid 19. E fa una ulteriore osservazione che potrebbe mettere, forse, a tacere chi pensa che tutto si risolva indicando il carcere “Don Bosco”. «Il centro clinico di Pisa – spiega Marchesi - è composto da una sezione maschile e una femminile, quest’ultima attualmente chiusa per lavori. In tutto può ospitare, com’è giusto che sia, un massimo 23 posti letto per gli uomini e 9 per le donne».
Quindi la struttura sanitaria del carcere di Pisa ospita un totale di 29 posti. Può un solo centro clinico considerato fiore all’occhiello del nostro Paese, ospitare tutti i detenuti malati che necessitano di cure? «Quando fu ideato il centro nel 1971, non era mica programmato per ospitare detenuti di mezza Italia, ma doveva essere funzionale alla struttura che lo ospita», chiosa l’avvocato Marchesi. Una struttura sanitaria che, tra l’altro, può ovviamente assistere specifiche patologie e non fa operazioni chirurgiche a tutto tondo come un tempo.
Ritorniamo al problema principale. Come mai alcuni magistrati hanno concesso il differimento dell’esecuzione della pena, per grave infermità fisica, nel regime della detenzione domiciliare? Semplicemente perché ci sono gravi patologie incompatibili con il regime carcerario e, soprattutto, sono poche le strutture sanitarie penitenziarie per poterli assistere.
C’è un lungo intervento - ospitato dalla rivista on line Giurisprudenza Penale
di Fabio Gianfilippi, il magistrato di Sorveglianza di Spoleto e componente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia. Tra i vari aspetti Gianfilippi ha ricordato la necessità di svolgere «un significativo investimento nell’approntare all’interno degli istituti penitenziari, o comunque nella loro relativa prossimità, presidi specialistici idonei a gestire in sicurezza e con standard medici adeguati le patologie da cui i detenuti sono affetti».