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Udienza penale e funerale di uno stretto congiunto possono essere compatibili. Il caso riguarda una persona sotto processo a Vercelli, che ha chiesto di partecipare ai funerali del padre e presentato, tramite il suo avvocato, istanza di legittimo impedimento. Di fronte alle norme, però, neppure una dolorosa vicenda personale può rendere meno rigidi i giudici. È l’amara constatazione alla quale si giunge prendendo in considerazione quanto accaduto in Piemonte. Il Tribunale di Vercelli è andato avanti spedito senza tener conto dell’istanza di legittimo impedimento dell’imputato, che però ha impugnato la sentenza di condanna davanti alla Corte di appello di Torino per poi giungere pure in Cassazione. Quest’ultima ha confermato quanto stabilito dal Tribunale, ma ha rivisto il trattamento sanzionatorio. I giudici di secondo grado hanno preso in considerazione le due diverse esigenze dell’imputato, vale a dire l’orario di celebrazione del processo e quello dei funerali del padre, e hanno considerato l’impedimento non assoluto, riconoscendo comunque che lo stato emotivo dell’imputato può essere stato condizionato. Un’analisi fredda, scandita dall’incrocio dei dati - l’ora dell’udienza e quella di un evento tanto triste quanto intimo -, con la considerazione della «correttezza della decisione del Tribunale, sebbene indicativa di una modesta sensibilità dei componenti del collegio, che avrebbero potuto acconsentire ad un rinvio del processo». La difesa non ha mollato e ha chiesto l’intervento della Corte di Cassazione, ponendo l’accento sul coinvolgimento emotivo della persona imputata, in procinto di essere ascoltata in udienza (decisiva per le sorti del processo) e in uno stato emotivo alterato, considerata la concomitanza del funerale del padre. Poco più di una settimana fa la sentenza della Suprema Corte (la numero 19678 del 19 maggio). I legali del condannato hanno insistito sulla contraddittorietà della motivazione della Corte d’appello, che nel sottolineare la non assolutezza del dedotto impedimento ha, comunque, condiviso la tesi della mancanza di lucidità del ricorrente tale da giustificare una richiesta di rinvio del suo esame. Qual è stata la strada seguita dalla Cassazione per giungere alle sue conclusioni? I giudici di Piazza Cavour hanno preliminarmente evidenziato che nell’atto di appello la difesa aveva impugnato la sentenza di primo grado anche in merito al rigetto della richiesta di differimento del processo, avanzata dal ricorrente per l’udienza del giorno in cui doveva celebrarsi il funerale del padre. In Corte d’appello il ragionamento dei giudici si è basato sugli orari. È stata affermata la natura non assoluta dell’impedimento, dato che il funerale del padre dell’imputato si sarebbe celebrato a Garbagnate Milanese nel primo pomeriggio (alle 14.30), mentre il processo ha avuto inizio davanti al Tribunale di Vercelli alle 9.43 e si è concluso alle 11.08 con la lettura del dispositivo. I giudici di secondo grado hanno evidenziato che «l’imputato avrebbe avuto modo di presenziare tanto all’udienza (eventualmente chiedendo un rinvio per rendere l’esame dibattimentale ove fosse stato in condizioni emotive tali da non riuscire a difendersi adeguatamente), quanto al funerale del proprio padre, previsto per le ore 14,30 del pomeriggio», confermando la correttezza della decisione del Tribunale. Se l’impedimento non è assoluto, dunque, il processo si celebra e in udienza si deve andare. Inoltre, è stato sostenuto che «il difensore non aveva dedotto un impedimento assoluto ed effettivo dell’imputato, poiché l’udienza e il funerale non si sovrapponevano tra loro». Il carattere non assoluto dell’impossibilità dell’imputato di essere presente in udienza era collegato non alla natura dell’impegno quanto alla sua compatibilità con la presenza in udienza, che deriva da una verifica operata “a posteriori”. La valutazione, invece, si sarebbe dovuta basare – con l’utilizzazione anche del criterio della “probabilità” di cui al capoverso dell’articolo 420-ter del Codice di Procedura penale – prima della sua celebrazione. Dunque, il desiderio di portare l’ultimo saluto ad uno stretto congiunto non rappresenta un legittimo impedimento (assoluto) e si scontra con la freddezza delle norme, delle sentenze e della irremovibilità dei giudici. Viene in mente il titolo di un recente libro del professor Gerardo Villanacci: “Giustizia cinica”.