Inguaiò Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, firmando la relazione che gli costò lavvio di unindagine e la chiusura dei progetti daccoglienza. Ma ora è lui, Salvatore Del Giglio, funzionario della Prefettura di Reggio Calabria, ad essere indagato, con laccusa di aver confezionato una relazione falsa nella quale avrebbe omesso di indicare le criticità rilevate allinterno del Centro daccoglienza di Varapodio, a pochi chilometri dalla città dei Bronzi. Del Giglio è accusato assieme al collega Pasquale Modafferi di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. Ai due è stato notificato, nei giorni scorsi, un avviso di conclusione delle indagini, che ha raggiunto anche il sindaco di Varapodio, Orlando Fazzolari, di Fratelli dItalia, accusato di una gestione personale e discrezionale del centro di accoglienza "Villa Cristina" dal settembre 2016 allaprile 2018, la titolare della cooperativa sociale "Itaca" Maria Giovanna Ursida e due commercianti di abbigliamento, Carlo Cirillo ed Ernesto Cruciani. Il nome dei due dipendenti della Prefettura, per molti giorni, è rimasto segreto: nessuno osava rivelarne lidentità, nonostante fossero noti i nomi degli altri indagati. Ora, però, è emerso il collegamento con un passato nel quale il funzionario si trovava dallaltra parte della barricata: nel dicembre del 2016, infatti, Del Giglio firmò, assieme ad altri due colleghi della Prefettura di Reggio Calabria, la famosa relazione sulla gestione dello Sprar da parte del Comune di Riace, contestando, tra le varie cose, proprio la mancata manifestazione di interesse nella scelta delle associazioni che lavoravano per i migranti. Una relazione che, di fatto, avviò la distruzione del modello Lucano, evidenziando «situazioni fortemente critiche». A partire dalle convenzioni con gli enti gestori, a chiamata diretta, passando per l'assunzione sempre fiduciaria degli operatori, parentele tra questi e amministratori comunali (in comune di 2300 anime) e scarsa chiarezza nelle fatturazioni. Dopo quella relazione ve ne fu unaltra, che esaltava fortemente le caratteristiche positive del modello Riace, raccontando laccoglienza come una favola. Una relazione che, però, fu a lungo negata a Lucano - che per ottenerla, dopo diversi tentativi di accesso agli atti, fu costretto a sporgere denuncia in Procura - e che non piacque in Prefettura (come ha riferito durante il processo a carico dell'ex primo cittadino una delle autrici di quella relazione), tanto da costare al primo firmatario, Francesco Campolo, il trasferimento dal settore immigrazione a quello del raccordo con gli enti locali ed elezioni. Dopo le ispezioni, si avviò la macchina del ministero dell'Interno che, prima sotto la guida di Marco Minniti, poi con quella di Matteo Salvini, portò alla chiusura dello Sprar di Riace e al trasferimento dei migranti. Ma gli atti che hanno decretato la morte dei progetti, hanno sentenziato prima il Tar e poi il Consiglio di Stato, erano illegittimi. «Che il modello Riace fosse assolutamente encomiabile negli intenti ed anche negli esiti del processo di integrazione si legge nella decisione del Tar è circostanza che traspare anche dai più critici tra i monitoraggi compiuti». Insomma, quellatto non aveva fondamento. Ma ciò non ha impedito al Viminale di svuotare il paese dei Bronzi e cancellare un modello d'accoglienza studiato in tutto il mondo. Il tutto mentre, sempre in provincia di Reggio Calabria, un altro sistema di accoglienza, oggi considerato "malato" dagli inquirenti, prosperava tranquillamente, anche grazie, secondo l'accusa, all'aiuto di chi ha contribuito alla fine dell'era Lucano. Secondo il procuratore della Repubblica di Palmi Ottavio Sferlazza e il pm Salvatore Rossello, in concorso con Ursida, Del Giglio e Modafferi, «a seguito di un controllo effettuato presso il centro di accoglienza Villa Cristina, finalizzato alla verifica del regolare funzionamento del centro e del corretto impiego dei fondi stanziati dalla prefettura di Reggio Calabria», avrebbero redatto «falsamente il verbale ispettivo del 5 settembre 2017 omettendo di indicare l'assenza di trasparenza in ordine alla regolarizzazione contrattuale delle cuoche e alla fornitura degli alimenti acquistati dal Comune di Varapodio». I due ispettori avrebbero inoltre omesso di indicare «la mancata manifestazione di interesse da parte del Comune di Varapodio per altre cooperative oltre la Itaca, affidataria della convenzione per la gestione dei servizi relativi al terzo settore del medesimo Comune».