Inutile introdurre più regole: la corruzione si combatte semplificando le leggi e spezzando il legame tra corrotto e corruttore. Dunque è necessario rivedere radicalmente le norme, che si sono rivelate «inutili e dannose» perché basate su un inasprimento delle pene, che anziché intimidire il corrotto lo induce a rimanere in silenzio. Alla vigilia dell’intervento con cui, dalle 11 di oggi, presenterà le linee programmatiche in commissione Giustizia al Senato, il guardasigilli Carlo Nordio espone le sue idee in tema di corruzione. E ancora una volta punta sulla depenalizzazione e su una legislazione più chiara e semplice, che non fornisca un “appiglio” a chi vuole tentare di barare. Il responsabile della Giustizia ne ha parlato alla Farnesina, all’evento organizzato dal ministero degli Esteri per la giornata internazionale del contrasto alla corruzione e dedicato all’impegno dell’Italia su questo fronte. «È inutile cercare di intimidire il potenziale corrotto, perché sarà sempre convinto di poter farla franca. Occorre invece disarmarlo riducendo le armi a sua disposizione. Queste armi paradossalmente sono le leggi - ha sottolineato Nordio -. In Italia c’è una produzione legislativa dieci volte superiore rispetto alla media europea, e non è un caso che la percezione della corruzione sia dieci volte superiore rispetto alla media europea. Più numeroso è il corpo legislativo, più vi è confusione nell’individuare competenze e procedure», ha aggiunto. Inasprire le pene e creare nuovi reati, dunque, «non serve a nulla», ha spiegato il ministro: l’unica soluzione è una «delegificazione rapida e radicale: ridurre le leggi, individuare bene le competenze, semplificare le procedure. Occorre che il cittadino debba bussare a una porta sola e invocare poche leggi chiare». Se, infatti, una persona deve bussare a 100 porte per ottenere un provvedimento, «aumenta in modo esponenziale la possibilità che una porta resti chiusa, finché qualcuno si presenterà dal cittadino che bussa e gli chiederà o gli imporrà di ungere la serratura». Sarà dunque questa la strada che il ministro seguirà a via Arenula, dopo aver annunciato, nei giorni scorsi, di voler modificare l’abuso d’ufficio e rivedere la legge Severino, che impone uno stop di 18 mesi ai sindaci dopo una condanna in primo grado. Una priorità, ha promesso ai primi cittadini, tanto quanto lo è rivedere le norme sulla corruzione: l’obiettivo è interrompere la convergenza di interessi tra corrotto e corruttore, «per esempio facendo sì che chi ha pagato sia indotto a collaborare attraverso l’impunità o una profonda revisione del reato di corruzione», propone il ministro. «Il reato di corruzione si consuma nell’ombra, non lascia traccia, perché le mazzette non si pagano con bonifico bancario, e avviene senza testimoni. Corruttore e corrotto sono entrambi punibili ed entrambi hanno interesse a tacere quando vengono interrogati», ha aggiunto Nordio. Di qui la necessità di «interrompere la cointeressenza» tra le due parti. «Purtroppo» in passato, ha osservato, «si è andati in senso contrario, introducendo il reato di concussione per induzione». E non può essere «la minaccia della galera a indurre una persona a parlare», ha concluso Nordio: così «cadremmo nella barbarie giuridica».