Le strategie di Matteo Renzi, che abbiano successo o meno, sono spesso articolate ma quasi mai nascoste e implicano sempre un certo grado di azzardo. È così anche in questa occasione, cioè in quelle che saranno le ultime elezioni rilevanti per un lungo periodo, salvo sorprese sino al test generale delle Europee nel 2024. Renzi e Calenda hanno messo in campo a sorpresa una candidata implicitamente di rottura come Letizia Moratti con il palese obiettivo di forzare la mano al Pd e costringerlo a una scelta purchessia. Qualunque fosse stata quella scelta, infatti, per il Terzo Polo si sarebbe aperta un'ampia possibilità di manovra.

Se il Pd avesse accettato di sostenere Letizia Moratti avrebbe avuto probabilmente qualche chance in più di vittoria, ma al prezzo di ballare alla musica suonata dalla coppia del Terzo Polo, dopo aver già accettato nel Lazio la candidatura indicata da Calenda. Trattandosi inoltre di un nome pesante e fortemente definito a destra come quello della ex vice di Fontana, quella scelta sarebbe stata vincolante, quasi un'ipoteca. Se invece il Pd avesse deciso di spostarsi verso l'alleanza con i 5S e verso una candidatura orientata a sinistra, come poi ha fatto optando per Majorino, i centristi avrebbero colto un risultato ancor più auspicato: spingere il Pd verso i 5S, o con l'alleanza oppure con una competizione sul loro stesso terreno. In entrambi i casi, nelle previsioni di Renzi e Calenda l'esito sarà spingere verso di loro quella parte dell'elettorato moderato di sinistra che di un riavvicinamento a Conte o di una sfida sui suoi stessi temi non vuole saperne.

Nel Lazio invece l'alleanza c'è, intorno a un nome, quello di D'Amato, saltato fuori dalla manica di Calenda e, senza i 5S, con poche possibilità di vittoria. Chances che peraltro si ridurranno ancora di più se la Destra sceglierà di schierare, come è orientata a fare, un candidato dalla biografia difficilmente attaccabile come il presidente della Croce rossa italiana e della Croce rossa e Mezzaluna rossa internazionale Francesco Rocca. La prospettiva di una probabile sconfitta non impensierisce però i leader centristi. A perdere, nel Lazio, non saranno comunque loro ma il Pd. Inoltre la competizione diretta con un Conte ormai del tutto sbilanciato a sinistra dovrebbe portare via al Nazareno un quota di voti per alterare le proporzioni interne alla coalizione rafforzando quella del Terzo Polo.

Le Regionali, peraltro, sono solo propedeutiche alla partita che soprattutto il leader di Italia viva, ha già iniziato a giocare: quella del dialogo col governo. Anche in questo caso l'obiettivo è palese e conclamato: attestarsi su una posizione opposta a quella “intransigente” del Pd, proporsi all'elettorato moderato sia di centrodestra che di centrosinistra come l'unica forza in grado di tirare il Paese fuori dalla sua eterna guerra di religione riportando alla normalità, cioè a un sia pur episodico dialogo, una politica che da quella normalità democratica è da lungo tempo sideralmente lontana. Infine, anche in questo caso, si tratta di costringere il Pd a scendere sul terreno radicale del M5S, per poterne poi denunciare la deriva e per dimostrare che rinchiudersi in quel perimetro significa abdicare a ogni velleità di vittoria.

La vera mano decisiva sarà quella della riforma presidenzialista. Un Terzo Polo già aperto al dialogo su alcuni punti chiave come la giustizia e il reddito di cittadinanza, sarà più che disponibile a cercare l'accordo e la mediazione con il governo sull'elezione diretta. Il Pd, soffocato dalla propria stessa retorica “resistenziale”, farà la scelta opposta tagliandosi così fuori dalla definizione dei nuovi assetti istituzionali e con il forte rischio, in caso di referendum confermativo, di una sconfitta in campo aperto dalla quale non si riprenderebbe né facilmente né rapidamente.

La posta è alta, la strategia accorta ma i rischi per la coppia centrista non mancano. Un risultato molto deludente in Lombardia suonerebbe come conferma della ripresa di una tendenza e di una aspirazione bipolarista messa fuori gioco per dieci anni dall'ascesa del M5S. Proverebbe che per i centristi, nell'Italia di oggi, non c'è più o non c'è ancora spazio. Inoltre sin qui la manovra di Renzi è stata agevolata dall'immobilismo di un Pd imbambolato, che punta ancora tutto sulla speranza della caduta in tempi brevi del governo Meloni e della sua sostituzione con un ennesimo governo tecnico o comunque anomalo. Ma questo è il Pd di Letta. Quello del prossimo segretario, chiunque esso sia ma è difficile non prevedere che si tratterà di Bonaccini, potrebbe rivelarsi diverso e molto più temibile. Correnti e ras interni permettendo, naturalmente, e per la gioia di Renzi e Calenda di solito non permettono.