Che cosa accadrà quando a partire da stamattina inizieranno le consultazioni al Quirinale, e dunque si entrerà nel vivo della formazione del governo? L’impostazione del Colle sembra essere che i tempi si sono fatti brevi, le urgenze del Paese premono, il responso delle urne è stato chiaro, ed è bene che la coalizione vincente si assuma fino in fondo le proprie responsabilità.

Ma se lo schema di lavoro del Quirinale è chiaro, l’interrogativo resta, e solo gli accadimenti potranno dare una risposta certa. Perché dal giorno delle elezioni - e ne sono passati ormai una ventina - il caos sembra essersi installato nella coalizione che pure dalle urne era uscita vincente. In un climax preoccupante, un giorno via l’altro, sia Salvini che Berlusconi si sono portati in modo da sbarrare il passo a Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia che ha consensi pari al triplo dei loro, e che ha goduto di un travaso di voti leghisti proprio nell’area in cui il suo partito era sempre stato più debole: il Nord.

Il fortissimo ribaltamento dei rapporti di forza interno a quello che un tempo si chiamava il centrodestra è ciò che indubbiamente motiva sia Salvini sia Berlusconi a “picconare” di fatto la leadership di Giorgia Meloni. Ma squadernando lo stato dei rapporti interni alla coalizione, segnati evidentemente da un malessere molto profondo.

I tre sono attesi insieme al Quirinale, poiché si sono presentati all’elettorato in coalizione su un programma in base al quale «il candidato alla presidenza del Consiglio sarà chi avrà preso più voti». Ma in questi 20 giorni più volte Berlusconi ha minacciato di recarsi da solo alle consultazioni: se al momento dell’incontro con Mattarella quell’indicazione non fosse unanime e condivisa gli scenari si complicherebbero notevolmente. Meloni è consapevole delle difficoltà, tanto che per superare i vari ostacoli ha tentato un gioco a due punte con Salvini, rischiando pure di consegnare i propri margini di manovra (e di leadership) al rivale più insidioso ed imprevedibile. E a questo scopo ha tentato in questi 20 giorni di delineare il governo - e con grande risalto presso la pubblica opinione - prima ancora di ricevere l’incarico: un fatto perfettamente inedito. E che ha trovato presso gli alleati lo stesso successo di Penelope con la sua tela.

Cosa potrà accadere dunque nello studio presidenziale al Quirinale? Il Colle ha ovviamente una politica di porte aperte: sta a Meloni, Salvini e Berlusconi decidere se presentarsi insieme o divisi alle consultazioni. Se la coalizione arriverà unita sarà il segnale che, almeno in linea di massima, la premiership di Meloni non è in questione. Perché non è immaginabile che il Quirinale possa esser reso teatro dei dissidi interni all’alleanza che si propone di governare il Paese.

Dal colloquio potrebbero però uscire delle variabili: Berlusconi per esempio - anche in quanto alleato terzo in uno schema che ad oggi è impostato a due punte - potrebbe volere del tempo per riflettere. Ovvero alzare ancor più la posta dei ministeri. E dunque Mattarella potrebbe conferire a Meloni solo un pre-incarico, o affidare un incarico esplorativo a una figura istituzionale, che potrebbe essere la seconda carica dello Stato, ovvero Ignazio La Russa: una possibilità però fortemente sconsigliata dalle urgenze che il governo deve affrontare, a cominciare dalla Legge di Bilancio, come il Quirinale ha bene in mente. Quando poi si giungesse al punto di comporre l’esecutivo, questo verrebbe esaminato da Mattarella con Meloni: come Berlusconi e Salvini sanno benissimo.

Se invece i tre alleati riottosi si presentassero separati al Quirinale sarebbe certamente il segno di tempi che non si fanno brevi, e quasi una richiesta di aiuto al Colle per trovare una composizione. Di certo, queste ultime tre settimane lasceranno il segno. Una coalizione che un giorno via l’altro trova al mattino intese che poi puntualmente disfa in serata è forse il meno. Il peggio è che, al di là di quelle che comunemente si chiamano “poltrone”, gli argomenti delle differenziazioni mettono in questione la credibilità internazionale dell’Italia.

Nelle relazioni transatlantiche - come ha rivelato Joe Biden nonostante il proclamato e recente atlantismo di Giorgia Meloni - e soprattutto in Europa. Oltre al fatto che due alleati che boicottano l’azionista di maggioranza quotidianamente rischiano di far nascere l’esecutivo Meloni come un’anatra zoppa. Come un governo che ha l’opposizione non solo all’esterno ma anzitutto all’interno dei propri confini. Stavolta non ci sono conigli nel cappello: l’elettorato si è espresso in modo chiaro. Meloni, Salvini e Berlusconi sono attesi alla prova del governo.