La testimone più attesa, alla fine, non si è presentata in aula. Marcella Contrafatto, la presunta postina dei verbali di Piero Amara sulla loggia Ungheria, ex segretaria dell’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo, ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere ieri a Brescia, dove è in corso il processo nei confronti dell’ex pm di Mani Pulite per rivelazione di segreto d’ufficio.

Un’assenza comunicata via mail e non giustificata dalla sua veste di imputata per calunnia nei confronti dell’ex procuratore di Milano Francesco Greco - formulata sempre in relazione alla diffusione dei verbali -, ma in virtù di una nuova inchiesta della procura di Roma, che indaga su di lei per lo stesso reato che oggi vede alla sbarra Davigo. E proprio in merito a questo procedimento, l’ex segretaria - licenziata dal Csm senza attendere l’evoluzione della sua vicenda giudiziaria - ha intenzione di rendere dichiarazioni spontanee davanti al gip di Roma il prossimo 25 novembre.

Il presidente del collegio Roberto Spanò ha dunque proposto di acquisire i verbali di quelle dichiarazioni, ammettendo che «la perdita di questo teste può essere più di un danno per l’accertamento della verità». Ieri a parlare è stata però l’ex assistente giuridica di Davigo, Giulia Befera. Che ha raccontato di come Davigo le abbia riferito di essere venuto a conoscenza dell’indagine della procura di Milano sulla presunta (e smentita) esistenza della loggia dal pm Paolo Storari, che gli consegnò i verbali ad aprile 2020, lamentando l’inerzia dei colleghi. «Mi aveva detto che era in stallo ed era preoccupato da questo immobilismo», ha raccontato.

In quell’occasione - siamo agli inizi di maggio 2020 - Davigo le riferì in via confidenziale, nel cortile di Palazzo dei Marescialli, che tra i presunti affiliati c’erano, oltre che membri delle Forze dell’ordine e della magistratura, anche due consiglieri del Csm in carica, ovvero Sebastiano Ardita, suo ex amico e parte civile nel processo, e Marco Mancinetti. «Mi fece qualche nome, tra cui quello di Ardita», ha sottolineato. Nome che poi, in un secondo incontro, Befera vide direttamente sui verbali. Ma la parte più corposa delle dichiarazioni della teste ha riguardato Contrafatto e i messaggi scambiati tra le due nel periodo che precedette e seguì la fine dell’esperienza di Davigo al Csm, dal quale fu “cacciato” con voto del plenum avendo raggiunto l’età del pensionamento. Un “allontanamento” che, paradossalmente, non trovò d’accordo proprio quello che ormai era l’ex amico Ardita, che votò a favore della permanenza di Davigo in Consiglio.

«Lei mi mandò un messaggio chiedendomi la mail di Marco Travaglio e dicendomi “ho questa pazza idea di mandare i verbali a giornali e giornalisti per ristabilire un ordine” - ha raccontato -. Nella sua ottica si doveva sapere la verità. Le ho risposto dicendo che Davigo non ne sarebbe stato felice. Mi ero completamente dissociata. Davigo non ne era al corrente al 100 per cento». E l’ex pm, di fronte alla divulgazione dei verbali, era apparso «scioccato» : «Ci siamo incontrati - ha aggiunto Befera - e mi ha detto che non avrebbe mai immaginato che Marcella sarebbe arrivata a tanto. Aveva capito che lei aveva agito con un fine di giustizia, per riequilibrare un ordine. Ma lei vedeva molti complotti e pensava che questa divulgazione potesse compensare» il torto subito da Davigo. Insomma, «un'iniziativa vendicativa, ma di suo solo pugno: dal suo punto vista ha agito immaginando di poter far del bene».

Davigo, infatti, era stato rassicurato sulla possibilità di rimanere in Consiglio. Ma a pochi giorni dal voto il procuratore generale e il primo presidente della Cassazione gli avevano annunciato il loro voto contrario, rendendo ormai certa la cessazione della sua esperienza al Csm il giorno del suo 70esimo compleanno. Proprio per tale motivo, secondo Befera, Contrafatto voleva far scoppiare una bomba giornalistica, con titoloni sul Fatto Quotidiano, pensando così di «poter deviare il corso degli eventi» : la cacciata di Davigo dal Csm, secondo l’ex segretaria, era infatti legata al fatto di essere venuto a conoscenza dell’esistenza della loggia. Contrafatto era dunque una donna «sopra le righe», secondo Befera.

In aula, ieri, ha testimoniato anche Ilaria Pepe, attuale consigliera del Csm eletta nella lista di Autonomia& Indipendenza, la corrente fondata da Ardita e Davigo. Anche a lei Davigo parlò dei verbali a inizio di maggio 2020, nel cortile del Csm, dicendosi «estremamente preoccupato» per la presunta affiliazione di Ardita e Mancinetti. «I verbali li ho visti fisicamente, ma non li ho mai letti, perché lì per lì ebbi la sensazione di essere coinvolta in una cosa più grande di me. Ma non parlammo del fatto che fossero secretati», ha spiegato Pepe. Alla quale Davigo disse di cautelarsi, «perché laddove le dichiarazioni fossero state dimostrate noi, in quanto gruppo, saremmo stati verosimilmente chiamati a dare conto di ogni nostro contatto e vicinanza con Ardita».

Ma le discussioni tra i due magistrati precedono la vicenda dei verbali e risalgono alla travagliata scelta del nuovo procuratore di Roma: dopo aver votato in Commissione per Marcello Viola, indicato a sua insaputa come candidato da favorire durante la famosa cena all’Hotel Champagne, Davigo virò su Michele Prestipino, mentre Ardita sosteneva la candidatura di Giuseppe Creazzo, anche lui tra le vittime collaterali di quel summit notturno. La questione portò ad uno scontro tra i due durante un vertice del gruppo di A& I. Una discussione che «ha rilasciato tossine - ha ricordato Pepe - e lì per lì Davigo disse che avrebbe interrotto i rapporti con Ardita».

In quell’occasione, infatti, Davigo reagì malamente contro Ardita, dicendogli «tu non mi dici tutto». Ed è stato in questo momento che l’ex pm di Mani Pulite ha spiegato i motivi del suo allontanamento dall’ex amico. Dovuto non solo al contrasto su Roma, ma a tanti piccoli momenti per lui sintomo di un comportamento poco trasparente. «Accade in sequenza una serie di cose che inizialmente ho attribuito a questioni di natura caratteriale, ma poi mi hanno preoccupato», ha dichiarato. Tra le quali «lo stato di prostrazione» vissuto a suo dire da Ardita dopo lo scandalo dell’Hotel Champagne, «come se avesse da temere chissà che», tanto da dire «che vuole dimettersi».

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è però un’altra: «Per due o tre giorni si è chiuso in ufficio con Lepre (Antonio, ex consigliere, presente all’Hotel Champagne, ndr). Ok, siamo colleghi, ma io dopo aver saputo che si erano riuniti con un imputato della procura di Roma (Luca Lotti, ndr) per discutere della nomina del nuovo procuratore non ho dato più la mano a nessuno. Gli ho detto: ma ti rendi conto che qualcuno può chiamarti in correità, vuoi essere un po’ prudente? Non mi fidavo più di lui e ho interrotto i rapporti. È chiaro che quando è emersa la storia di Ungheria ho reinterpretato tutte queste vicende».