«Sarebbe un delitto trascurare la giustizia. Sarebbe un delitto litigarci su. Ma se il nuovo o la nuova guardasigilli sarà scelto fra i nomi di cui si parla, sono certo che saremo in buone mani». Bartolomeo Romano, ordinario di Diritto penale all’Università di Palermo e già consigliere laico al Csm, non si abbandona al pessimismo ma neppure trascura il rischio che la giustizia scivoli nelle retrovie dell’agenda politica.

La destra è per la prima volta alla guida del governo, tra emergenze drammatiche: può esserci la tentazione di lasciare la giustizia in secondo piano?

Sì, mi rendo conto dell’esistenza di un pericolo simile, in parte anticipato dalla scarsa attenzione riservata in campagna elettorale ai temi della giustizia da tutte le forze politiche. Eppure è impensabile che un dossier così importante venga ignorato: così si dimentica che un sistema giudiziario efficiente è essenziale proprio per uscire da situazioni di crisi come quella in cui ci troviamo. E poi, attenzione, non esiste solo la giustizia penale: lo dico da penalista. Prima di tutto ci si dovrebbe occupare del processo civile. Delle risorse di cui ha bisogno, dell’efficienza ancora tutta da realizzare. Farlo significa sciogliere un importante nodo del nostro sistema economico, rispondere ad aspettative pluridecennali degli investitori stranieri. Non c’è un governo che possa permettersi di trascurare la giustizia, nelle sue tante sfaccettature, pur tra tante drammatiche emergenze.

Lo ha ricordato anche l’avvocatura al congresso forense di Lecce: occupatevi delle cause rinviate di anni, dei tribunali senza personale, e coinvolgete il Foro nell’organizzazione della macchina giudiziaria.

Ecco, appunto: per anni la politica si è rivolta solo ai magistrati. È tempo che vengano coinvolti tutti gli attori del sistema giustizia. Registro un paradosso. La magistratura è composta da alcune migliaia di persone, gli avvocati sono decine e decine di migliaia. Dunque, bisogna cambiare approccio. Ascoltare tutti. Chiunque sarà ministro della Giustizia, dovrà aprire un grande tavolo di confronto con magistratura, avvocatura e accademia. E poi certo, dovrà avere il coraggio delle decisioni.

Come si fa a tenere aperto il dialogo con la magistratura e nello stesso tempo realizzare la separazione delle carriere, sgradita alle toghe?

Anche qui, scontiamo una visione un po’ falsata dell’ordine giudiziario. Che è composto in misura davvero minoritaria da pubblici ministeri: in maggioranza i magistrati sono giudici, e molti sono giudici civili. Certo, le rappresentanze associative della magistratura sono contrarie alla separazione delle carriere. Ma siamo sicuri che lo sia anche la base, la maggioranza dei giudici? Ecco cosa intendo quando dico che bisogna ascoltare tutti: non solo l’Anm, ma la magistratura in modo ampio e non superficiale. E ci si deve ricordare di un articolo della nostra Costituzione, il 111, che reclama chiaramente una netta distinzione fra il magistrato dell’accusa e il giudice terzo e imparziale.

Nordio è stato spesso severo coi suoi colleghi: la sua nomina a guardasigilli può complicare il dialogo di cui lei parla? Che ne pensa degli altri candidati?

Non credo proprio che Nordio possa essere un ostacolo al dialogo. Un conto sono le posizioni e il modo di rappresentarle quando si esercita una funzione di critica intellettuale, altro è assumere personalmente una responsabilità nelle istituzioni. Nordio conosce i problemi da vicino per averli vissuti. Come li conoscono Giulia Bongiorno e Francesco Paolo Sisto. Ed è impossibile, per me, sbilanciarmi in una preferenza. Con Nordio ho condiviso l’esperienza del referendum, sono stato il vicepresidente di un comitato per il sì guidato proprio da lui. Con Bongiorno ho condiviso la prima parte del percorso professionale di avvocato a Palermo. E poiché ho insegnato anche a Bari, e faccio parte delle Camere penali, mi sono trovato decine di volte a fianco di Sisto, che è sempre stato in prima linea nelle battaglie dell’Ucpi. Casellati è stata sottosegretaria alla Giustizia e poi al Csm, dove ci siamo passati il testimone: quando io ho concluso il mio quadriennio lei iniziava quello successivo. Dunque, per me è impossibile sbilanciarmi. Ma l’importante è che a via Arenula non vada chi, diversamente dalle figure appena evocate, consideri la Giustizia un incarico di passaggio verso altre ambizioni politiche. Sarebbe un grave errore. Il tempo delle riforme è ora.

FdI, Lega e FI non sempre sono d’accordo: su carcere e legge Severino, per esempio, sono molto distanti.

Si punti sulle cose che uniscono, assai più numerose di quelle che dividono. E per il resto, per le materie sulle quali si registrano distanze, servirà la pazienza nel costruire compromessi. Ma sarebbe un delitto far prevalere le divisioni, e non occuparsi della giustizia. Sarebbe un delitto dividersi sulle cose da fare. E le vittime sarebbero i cittadini. Non c’è un italiano che potrebbe negare i problemi del nostro sistema giustizia, anche in ambiti come il tributario o l’amministrativo. Non ci si fermi al microcosmo del penale, che attira l’attenzione ma non è l'unico tema. E poi ci si ricordi che all’esterno della maggioranza ci sono componenti, penso ad Azione e ad Enrico Costa, ben consapevoli di quali siano gli interventi necessari. E infine, ci si allontani dall’idea per cui le riforme debbano essere punitive per la magistratura. Non ci sono bersagli da colpire ma guasti della macchina a cui porre rimedio. Poi non tutti saranno contenti di tutte le riforme. Ma per la prima volta dopo anni c’è un governo con alle spalle un chiaro mandato degli elettori, e anche sulla giustizia non si può sprecare l’occasione di cambiare in meglio il Paese.