La legge italiana prevede un risarcimento per ingiusta detenzione, ma non sempre i giudici lo concedono nonostante l’accertata innocenza. E se accade, non sempre viene corrisposto l’indennizzo richiesto. Abbiamo il caso della Corte di appello di Bologna che ha ritenuto meritevole di raccoglimento l’istanza di una donna, «sebbene la liquidazione dell’indennizzo debba essere ridotta rispetto alla quantificazione prospettata dalla ricorrente».

In sostanza, i giudici hanno dimezzato la richiesta, perché hanno escluso il danno non patrimoniale che riguarda il tentato omicidio durante l’ingiusta carcerazione. Accade che la Corte di appello di Bologna ha condannato il ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento di 14.280 euro a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta da Manobanda Alvarez Herlinda Elvira in ragione della privazione della libertà personale subita, nella forma della custodia cautelare in carcere, dal 18 marzo 2019 al 16 aprile 2019 e, nella forma degli arresti domiciliari, sino ottobre 2019 nell’ambito di un processo penale nel quale era indagata per il reato di omicidio.

Il giudice della riparazione ha liquidato l’indennizzo partendo dal criterio aritmetico, ma lo ha ridotto da 235,82 euro a 120 euro per ciascun giorno di detenzione in carcere e da 117,91 euro a 60 euro per ciascun giorno di detenzione domiciliare, negando poi la sussistenza di danni ulteriori di natura non patrimoniale correlabili alle condizioni psichiche dell’istante. Elvira Alvarez ha quindi proposto ricorso per cassazione censurando l’ordinanza impugnata, con unico motivo, per assenza di motivazione in ordine alle ragioni della riduzione dell’indennizzo rispetto al criterio matematico e per motivazione manifestamente illogica in ordine alle ragioni del mancato aumento dell’indennizzo rispetto al criterio matematico alla luce degli ulteriori effetti pregiudizievoli derivati dall’ingiusta detenzione.

Con riguardo a tale ultimo profilo, la difesa lamenta l’omessa disamina della documentazione concernente l’episodio del 17 agosto 2019 quando, in pendenza del procedimento estradizionale, la donna aveva tentato il suicidio assumendo in dose massiccia un sedativo con necessità di intervento ospedaliero. Lamenta, altresì, la mancata valorizzazione del certificato di pronto soccorso del 30 aprile 2020, nel quale lo stato di delirio e agitazione psicomotoria nonché l’atteggiamento autolesivo dell’istante erano stati ricondotti a un disturbo post traumatico da stress rappresentato da una carcerazione di 28 giorni subita circa un anno prima dalla paziente.

La Cassazione, tramite la sentenza numero 37231, accoglie solo in parte il ricorso. Secondo i giudici supremi, contrariamente a quanto indicato nel ricorso, non risulta omessa la valutazione della prova documentale offerta a sostegno dell’ulteriore danno non patrimoniale, non potendo la Corte di legittimità riformulare una propria valutazione dei fatti, laddove di essi il giudice del merito abbia dato adeguatamente conto fornendo motivazione non manifestamente illogica. «In particolare, nel ricorso si deduce la manifesta illogicità della motivazione parcellizzando le argomentazioni rese nell’ordinanza, come se i giudici di merito avessero limitato il giudizio di diniego dell’ulteriore pregiudizio al mero rilievo dell’insussistenza delle condizioni favorevoli all’estradizione, laddove la motivazione si palesa ben più complessa e non sorda alle sollecitazioni difensive, che sono state ampiamente valutate», sottolinea la Cassazione.

Quanto all’entità della somma liquidata, il Collegio ritiene che il giudice di merito abbia omesso di motivare la decisione di non applicare il criterio matematico. Il ricorso viene quindi accolto limitatamente al punto concernente la liquidazione della somma dovuta a titolo di riparazione in misura ampiamente inferiore a quella che sarebbe stata determinata secondo tale criterio. In sostanza viene indicato il principio più volte affermato dalla Corte di Cassazione: il criterio aritmetico individuato dalla giurisprudenza di legittimità costituisce una base utile per sottrarre la determinazione dell’indennizzo ad un’eccessiva discrezionalità del giudice e garantire una tendenziale uniformità di giudizi. Ferma restando la libertà del giudice di merito di valutare la congruità di tale somma, la Cassazione impone l’annullamento con rinvio affinché ne venga fornita congrua motivazione.