Fedele alla favola del diavolo che fa la pentola e si scorda il coperchio, Giorgia Meloni a poco più di una settimana trascorsa dalla vittoria elettorale del 25 settembre ha spiazzato un bel po di avversari, e persino amici. Chi la immaginava, anzi desiderava vestita di nero per combatterla meglio, come una caricatura femminile del fascismo che che fu, se lè trovata vestita di tutti i colori possibili: a cominciare dal rosso dipinto sulle labbra agli indumenti, per finire al celeste, al rosa, al verde. Come quello, misto al giallo, dei coltivatori diretti che lhanno accolta a Milano con lentusiasmo rivolto sino a pochi giorni prima dai leghisti e, ancor prima, dai democristiani della lontana, cosiddetta prima Repubblica, quando quel pubblico lì era il principale serbatoio elettorale e persino valoriale dello scudo crociato. Si è tornata a respirare, in quellincontro davanti al Castello sforzesco, la cultura popolare sostituita troppo a lungo da quella assai diversa, direi opposta del populismo. Maurizio Landini, il capo della Cgil assaltata non più tardi di un anno fa nella sua sede centrale dal pubblicoparafascista dirottato da una manifestazione in Piazza del Popolo, a Roma, col tono conciliante che ha assunto da qualche tempo come se una dieta lo avesse liberato anche dallestremismo parolaio che faceva impazzire Sergio Marchionne, ha mostrato di morire dalla voglia di confrontarsi col governo che Giorgia sta allestendo ben prima dellinsediamento delle Camere, delle consultazioni del capo dello Stato e del conferimento dellincarico di presidente del Consiglio. Mario Draghi - cui «la signora», come la chiama prudentemente Silvio Berlusconi, ha praticato una lunga e costante opposizione salvo che in politica estera, dove è stata più atlantista e antiputiniana di tanta parte della maggioranza - la sommerge direttamente e indirettamente di informazioni e - credo anche consigli. E deve sudare le proverbiali sette camicie per smentire o ridimensionare la rappresentazione che se ne fa come di un lord protettore di chi è destinata a succedergli.Statene certi, la prima parola per la promozione di Draghi a segretario generale della Nato, quando ne matureranno le condizioni, non più tardi dellanno prossimo, si alzerà alta e forte proprio dalla Meloni a Palazzo Chigi. La seconda forse dal campo avverso, cioè da Mosca, dove Putin si è ormai così infognato nella guerra allUcraina che spera forse di sopravviverle politicamente e umanamente con laiuto più di uno come Draghi che di uno come quel Medvdev che al Cremlino sogna solo di succedergli. La politica è una bestiaccia in tutte le latitudini. Più la si prende sul serio e più ti delude. Più la corteggi e più ti spiazza. Più la studi e meno la capisci. Prima sali in alto e prima cadi in basso. Più cerchi di staccartene e più ne rimani coinvolto, come ha imparato lanno scorso anche Sergio Mattarella sprecando - temo un sacco di soldi in un trasloco interrotto, che in tanti - a dire il vero - gli avevamo francamente e giustamente sconsigliato. Ora tocca a lui, per fortuna, gestire questa sorprendente e inesplorata transizione repubblicana, anche di genere.