Salvatore Vassallo, direttore dell’Istituto Cattaneo, spiega che il Partito democratico ora è a un bivio tra ctivare il proprio elettorato o spostarsi su una leadership in grado di dialogare con M5S e Terzo polo. In goni caso, aggiunge, «da qui a qualche mese sarà ancora più evidente che esiste un blocco elettorale, il centrodestra, con il quale si può competere soltanto alleandosi, e non con una strategia suicida come quella messa in campo in queste elezioni».

Professor Vassallo, dopo la sconfitta elettorale il centrosinistra si sta riassestando: pensa che Pd, M5S e Terzo polo possa arrivare a un’opposizione congiunta al governo Meloni?

Immagino che per qualche tempo ognuno cererà di assestare la sua posizione. Se tutti e tre i soggetti fossero ugualmente stabili sarebbe plausibile una riflessione su come impostare l’opposizione, ma siccome c’è uno degli attori, il Pd, che deve trovare un equilibrio al suo interno, penso che ognuno cercherà di posizionarsi per avere un proprio profilo.

A proposito del Pd, crede che nel Congresso prevarrà la linea di alleanza con il M5S o quella che guarda a Calenda e Renzi?

Non sono così persuaso che nel medio termine la scelta di guardare da una parte o dall’atra sia la soluzione più appropriata. Se non si romperà a stretto giro il patto che ha legato i partiti di centrodestra a una buona fetta dell’elettorato sarà evidente che l’unica scelta possibile è offrire al paese un’alternativa che tenga conto dei diversi punti di vista presenti oggi nell’area molto variegata che si oppone al centrodestra.

Eppure una posizione verrà presa, e i nomi che si fanno come possibili leader dem la pensano in maniera molto diversa. Troveranno un accordo?

Il Pd è di fronte a un bivio: o coltiva una nicchia molto ben definita dell’elettorato di sinistra urbano, prevalentemente collocato nel settore pubblico con un’enfasi molto forte su ecologia e diritti, peraltro argomenti cari alla sinistra, soprattutto quella giovanile. Oppure deve avere abbastanza creatività per trovare una leadership sufficientemente capace di dialogare con tutti quelli che sono contrari al centrodestra.

Insomma, o un Pd alla Elly Schlein o uno alla Stefano Bonaccini, giusto?

Non voglio fare nomi, mi limito a osservare la situazione. Le uniche due fasi nelle quali si è intravista una possibilità di un Pd espansivo sono state le elezioni del 2008 con la campagna elettorale di Veltroni e le Europee 2014 nelle quali per pochissimo tempo Renzi è sembrato parlare a pezzi di società diversi rispetto a quelli che hanno sempre votato lealmente per il Pd.

E che però a questo giro sembrano aver voltato le spalle al partito, visto il calo di voti in termini assoluti rispetto al 2018.

Questa volta le elezioni sono state giocate sull’identità di essere partito responsabile, di sinistra, molto impegnato sulla difesa dei diritti civili. La mia impressione è che, da un lato, questa strategia potrebbe essere lungimirante, perché attraente verso elettori giovani e persuasi da questi temi; dall’altro, credo che questo spazio non sia così largo come si immagina. Lo è magari nella grandi città e nelle aree molto sviluppate, ma basta uscire da queste zone per capire che una strategia di questo tipo non è così efficace.

Pensa che dopo il Congresso possa riprendere in ogni caso il dialogo con i Cinque Stelle?

Diciamo che i tempi delle alleanze saranno dettati dalle prossime scadenze elettorali. Da qui a qualche mese sarà ancora più evidente che esiste un blocco elettorale, il centrodestra, con il quale si può competere soltanto alleandosi, e non con una strategia suicida come quella messa in campo in queste elezioni. Penso che questo porterà a sperimentare una strategia comune all’opposizione, ma non prima del Congresso del Pd.

Non è che al Movimento 5 Stelle, vista la rimonta elettorale rispetto alle previsioni, convenga andare in ogni caso per conto proprio?

Il Movimento 5 Stelle è un po’ un’incognita. Conte è riuscito a mobilitare una quota di elettorato potenzialmente astensionista, oltre ai voti di elettori grillini costanti che avevano già votato M5S nel 2018 e 2019. Credo che questo dipenda dall’autorevolezza acquisita da Conte durante la pandemia e da una campagna elettorale basata su reddito di cittadinanza e protezione sociale delle categorie più svantaggiate. Lo svantaggio è che questo elettorato deve essere costantemente motivato e bisognerà capire se Conte sarà in grado di farlo in futuro.

Il progetto di Renzi e Calenda si svilupperò da qui alle Europee 2024, come è nelle loro intenzioni, o si arenerà prima?

Il risultato di Azione e Italia Viva è per certi versi congruente con le loro aspettative. Le nostre stime su nove grandi città, sia al nord che al sud, segnalano che Calenda e Renzi hanno preso circa il 40 per cento di voti dal centrodestra. Ma è evidente che l’obiettivo principale, cioè quello di essere un polo determinante dell’equilibrio complessivo o addirittura vincente, come nel caso di Macron in Francia, è una prospettiva molto lontana dalla realtà. Se il sistema elettorale continuerà ad avere una sufficiente componente maggioritaria, come quello attuale, non vedo come possano continua a mantenere questa posizione.