“La 194 non si tocca” è stato uno slogan della sinistra. Oggi è lo slogan della destra. (Sto semplificando sulla destra e sulla sinistra, ma ci siamo capiti e d’altra parte lo ha detto Giorgia Meloni e lo ha detto Mara Carfagna che nessuno vuole toccare la 194 – che espressione orrenda poi). Forse le intenzioni sono diverse: nel primo caso quello che si voleva dire era che bisognava difendere l’aborto (chissà perché parlo al passato), nel secondo invece si vuole rinforzare la premessa della legge 194 a protezione della “vita nascente”. Forse sono solo chiacchiere e distintivo. Vedremo nei prossimi mesi, perché ha poco senso adesso urlare per l’ordine del giorno ligure come gravissimo attentato (ma chi se li fila gli ordini del giorno?) o perché Meloni ha vinto e siete sicuri di tutto quello che farà in futuro. Quello che possiamo dire è che molti di quelli che oggi sono venuti già scandalizzati non hanno fatto niente quando potevano. Che molti erano nelle piazze mercoledì scorso, perché era pure una bella giornata e sai che fatica farsi una passeggiata. E che nessuno sembra aver letto la legge 194, esempio perfetto di ambivalenza e di equilibrio su una fune che a forza di tirarla si strapperà – ma che è la legge che abbiamo e se ne volete parlare tocca leggerla. E se già qualsiasi legge ha un margine di applicazione e di interpretazione, figuriamoci una legge che si intitola Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. In ogni caso prendiamo sul serio che la 194 non si tocca e non si toccherà e vediamo che cosa significa. C’è almeno una regola in questo gioco: non possiamo prendere solo quello che ci fa comodo di una premessa. E allora bisognerà applicarla tutta e bene questa benedetta 194 e potremmo essere tutti d’accordo. Almeno su alcune cose, perché sebbene la legge 194 non sia una legge perfetta, se fosse applicata sarebbe meglio di come la disegnano. L’articolo 5, prima di tutto. Non servono le associazioni confessionali, bastano i consultori e le strutture sanitarie. E se non bastano bisognerà rimediare a questa carenza senza bisogno di coinvolgere privati per aiutare la donna a “rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”. Poi c’è però l’articolo 9 che dovrebbe essere letto, interpretato e applicato. Perché la legge è chiara sulla gerarchia tra obiezione dei medici e richiesta della donna e sui confini dell’esercizio della obiezione. E per capirlo si potrebbe anche rileggere la sentenza che ha preceduto la legge: “non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”. Può essere anche utile ricordare che il reato del vecchio codice penale si fondava sulla difesa della stirpe e che l’unica alternativa – dopo aver rimosso gli ostacoli, aver parlato, provato a convincere, discusso – al lasciare alla donna la possibilità di scegliere è obbligarla a portare avanti la gravidanza. Lo cantavano alcuni durante le Marce per la vita: obbligo di gestazione e galera per chi abortisce. Forse sono ottimista ma non mi pare una via percorribile. (Vi prego, un’altra immagine dell’ancella di Gilead e mi metto a piangere.) Se poi invece è tutto solo posizionamento – i buoni contro i cattivi, le eterne scuole medie, l’insofferenza dei giusti che ti fa rispondere a una ragazzina “eh ma allora fatti difendere da quegli altri”, Giorgia cattiva cattiva e colpevole dell’imminente peggiore dei mondi riproduttivi possibili anche per coprire le proprie manchevolezze, la distrazione, la rivisitazione di quel passato di procrastinazione e di disinteresse di chi oggi è “in prima fila” – se è solo questo, allora resteranno solo quegli slogan inutili e vuoti e che ognuno riempirà di quello che vuole. In una eterna conversazione tra sordi e offesi.