Mercoledì scorso il Consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo ai decreti attuativi della riforma Cartabia. Va dato atto, contro ogni aspettativa, che in 20 mesi di governo la guardasigilli ha messo in moto una macchina gigantesca e ha riformato i processi e la fase esecutiva della pena. Ha riunito diverse commissioni per ogni settore della riforma composta da giuristi, operatori del settore, persone di grande competenza che hanno avuto come faro gli ideali della Costituzione italiana. Una riforma coraggiosa che si aspettava da tempo. E ciò nonostante le varie critiche, molte costruttive, altre (fortunatamente minoritarie) affette dall’oramai stucchevole retropensiero che evocava la solita P2 di Gelli.

Uno dei temi che la riforma coinvolge è l’esecuzione penale. Primeggia la disciplina organica della giustizia riparativa, un istituto che è già sulla carta ma molto di nicchia. E che da ora in poi si estenderà. Tale istituto si concretizza nell’elaborazione di specifici programmi, guidati da mediatori esperti e indipendenti, che mettono in contatto principalmente la vittima del reato e la persona indicata come autore dell’offesa, ma anche qualsiasi altro interessato (familiare della vittima o del presunto autore del reato, rappresentanti di enti e associazioni, servizi sociali, etc…), al fine di giungere ad un esito riparativo, simbolico o materiale, che ricostituisca il rapporto tra le persone coinvolte e l’intera comunità.

Giustizia riparativa, cosa dice il decreto

In particolare, l’articolo 44 stabilisce al comma 1 che i programmi di giustizia riparativa disciplinati dal decreto attuativo della riforma sono accessibili senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità. Il comma 2 prevede che ai programmi si può accedere in ogni stato e grado del procedimento penale, nella fase esecutiva della pena e della misura di sicurezza, dopo l’esecuzione delle stesse e all’esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere, per difetto della condizione di procedibilità, anche ai sensi dell’articolo 344- bis del codice di procedura penale, o per intervenuta causa estintiva del reato. Il comma 3 stabilisce che qualora si tratti di delitti perseguibili a querela, ai programmi si può accedere anche prima che la stessa sia stata proposta. L’articolo 45 prevede che possono partecipare ai programmi di giustizia riparativa la vittima del reato; la persona indicata come autore dell’offesa; altri soggetti appartenenti alla comunità, quali familiari della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa, persone di supporto segnalate dalla vittima del reato, enti ed associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato, rappresentanti o delegati di Stato, Regioni, enti locali o di altri enti pubblici, autorità di pubblica sicurezza, servizi sociali e chiunque altro vi abbia interesse.

L’articolo 53, invece, stabilisce che d’ora innanzi i programmi di giustizia riparativa si conformino ai principi europei e internazionali in materia e vengano svolti da almeno due mediatori. Essi comprendono la mediazione tra la persona indicata come autore dell’offesa e la vittima del reato, anche estesa ai gruppi parentali o con la vittima di un reato diverso da quello per cui si procede; il dialogo riparativo; ogni altro programma dialogico guidato da mediatori, svolto nell’interesse della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa. L’articolo 56 stabilisce al comma 1 che d’ora innanzi quando il programma si conclude con un esito riparativo, questo può essere simbolico o materiale. L’esito simbolico può comprendere dichiarazioni o scuse formali, impegni comportamentali anche pubblici o rivolti alla comunità, accordi relativi alla frequentazione di persone o luoghi. Il comma 3 prevede che l’esito materiale può comprendere il risarcimento del danno, le restituzioni, l’adoperarsi per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato o evitare che lo stesso sia portato a conseguenze ulteriori. La riforma, inoltre, impone che i centri per la giustizia riparativa siano istituiti presso gli enti locali. Il comma 2 dell’articolo 63 prevede che per ciascun distretto di corte d’appello è istituita la Conferenza locale per la giustizia riparativa cui partecipano, attraverso propri rappresentanti. Per garantirne il funzionamento, l’articolo 67 dispone al comma 1 che nello stato di previsione del Ministero della giustizia è istituito un Fondo per il finanziamento di interventi in materia di giustizia riparativa, con una dotazione di euro 4.438.524 annui a decorrere da quest’anno. Viene attuata una riforma organica anche delle “sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi”. Tale tipologia di sanzioni si inquadra come è noto tra gli istituti – il più antico dei quali è rappresentato dalla sospensione condizionale della pena – che sono espressivi della cosiddetta lotta alla pena detentiva breve; cioè del generale sfavore dell’ordinamento verso l’esecuzione di pene detentive di breve durata. A tal fine, si evidenzia che le statistiche del ministero della Giustizia confermano d’altra parte il successo applicativo della sospensione condizionale della pena: il 50 per cento delle condanne a pena detentiva di qualsiasi ammontare, nel decennio 2011- 2021, è infatti rappresentato da condanne a pena sospesa.

Pene sostitutive

Pertanto, nel contesto di un più ampio disegno volto all’efficienza del sistema penale, la riforma Cartabia rivitalizza e rivalorizza le sanzioni sostitutive delle pene detentive, che vengono ora concepite come vere e proprie pene sostitutive. La riforma amplia l’ambito di applicazione della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato ad un alveo di delitti circoscritto a quelli puniti con pena non superiore a sei anni. Il pubblico ministero può, laddove lo ritenesse opportuno, prospettare all’indagato/ imputato la messa alla prova, conseguendo la definizione anticipata del procedimento con ricadute positive sui tempi complessivi dei processi penali. Si interviene anche sull’istituto della particolare tenuità del fatto in una triplice direzione: estensione dell’ambito di applicabilità ai reati con pena detentiva non superiore nel minimo a due anni; attribuzione di rilievo alla condotta susseguente al reato; esclusione dall’applicazione ad alcuni reati, tra cui la corruzione e i più gravi reati contro la pubblica amministrazione, lo stalking e tutti i reati di violenza contro le donne e di violenza domestica; i reati in materia di stupefacenti; l’incendio boschivo; violenza sessuale. Sarà competenza del giudice determinare in concreto l’eventuale tenuità del fatto, senza alcun automatismo. Non solo. Viene attuata una riforma del sistema delle pene sostitutive delle pene detentive brevi, dando così una risposta alla situazione dei “liberi sospesi”. Si tratta di migliaia di condannati a pene inferiori ai 4 anni che hanno già accesso alle misure alternative al carcere, ma che solo dopo anni scontano la pena disposta dai Tribunali di sorveglianza. Da adesso sarà il giudice di cognizione ad applicare, immediatamente, le nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi. Il meccanismo elaborato è ispirato al modello del sentencing di matrice anglosassone, ma non è del tutto estraneo al nostro ordinamento, che lo conosce nei processi davanti al giudice di pace.

La riforma Cartabia è sicuramente innovativa, progressista e ha come faro l’articolo 27 della nostra costituzione, quello dove i padri costituenti – e non è un caso - non menzionano il carcere. Ora si spera di non fare nessun passo indietro, ma avanti.