«L’intera responsabilità disciplinare è dominata da una logica profondamente sbagliata: quella che operi esclusivamente all’interno del circuito giudiziario e sia del tutto indifferente agli effetti che le condotte dei magistrati producono su chi attende giustizia, quale che sia il suo ruolo».

A dirlo sono gli avvocati Vincenzo Giglio e Riccardo Radi che sul loro blog “Terzultima fermata” hanno pubblicato questa settimana una interessante raccolta di sentenze di assoluzione della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, tutte con motivazioni a dir poco sorprendenti.

«Nella selezione del campione delle decisioni - proseguono i due avvocati - ci siamo fatti guidare da alcuni criteri: abbiamo preso in considerazione l’ultimo massimario disponibile, volendo privilegiare la giurisprudenza più recente e abbiamo selezionato quasi solo provvedimenti che riteniamo più distanti dal sentire comune o dal ciò che normalmente accade in altri ambiti giudiziari e disciplinari».

La casistica prodotta, come detto, è quanto mai variegata. In questa sede vale la pena soffermarsi solo sulle assoluzioni che hanno riguardato magistrati che, per un motivo o per l'altro, si erano “dimenticati” di liberare le persone che si trovavano in quel momento sottoposte allo loro custodia. Una azione quanto mai fastidiosa, essendo la libertà personale uno dei maggiormente tutelati dalla Costituzione.

La giustificazione usata dalla Sezione disciplinare del Csm per assolvere il magistrato “sbadato” è quasi sempre la ' scarsa rilevanza del fatto”. Ma andiamo con ordine. Il primo caso preso in esame è quello di un pm presso il Tribunale dei Minori «che ha omesso di richiedere la cessazione della misura della permanenza in casa». Per il Csm, tale «condotta non ha determinato alcun discredito per l’ordine giudiziario essendo emersa solo in sede di ispezione ministeriale, non è stata presentata istanza di riparazione per ingiusta detenzione, il fatto non ha avuto eco o risonanza mediatica e non vi è stato alcun pregiudizio per il minore per il quale la prosecuzione si è, invece, rivelata vantaggiosa».

Il secondo, invece, riguarda un giudice del dibattimento «che dispone la scarcerazione dell’imputato oltre il termine di durata massima custodiale». Sempre per il Csm, si è trattato di un «unico episodio nella carriera del magistrato» ed è «mancata ( la) compromissione dell’immagine del magistrato, essendo stato accertato il ritardo solo in sede di ispezione ministeriale». L’ultimo caso, infine, riguarda un gip che non ha rispettato i termini di durata massima della custodia. Anche in questo «l’accertamento dell’illecito è avvenuto dopo oltre tre anni a seguito di ispezione ministeriale e, quindi, la condotta non ha creato alcun discredito per l’ordine giudiziario».

Leggendo con attenzione le motivazioni di assoluzione, i due avvocati provano a ripercorrere quale possa essere stato il criterio argomentativo. «Nel caso del minore sottoposto alla misura della permanenza in casa, quello che conta è che il fatto era emerso solo dopo un’ispezione, che non è stata presentata alcuna istanza di riparazione per ingiusta detenzione, che è mancata l’eco mediatica e che infine la prosecuzione della misura è stata addirittura vantaggiosa per il minore. Se un giudice dibattimentale o un gip dimenticano in carcere un imputato - puntualizzano Giglio e Radi - quello che conta è che si è saputo della dimenticanza solo a distanza di anni dal fatto e di conseguenza non ne ha sofferto la credibilità dell’ordine giudiziario» .

Queste sentenze di assoluzione, soprattutto dopo il Palamaragate, non possono comunque non indurre ad una riflessione. «Si dice spesso - aggiungono i due avvocati - che la valutazione della condotta del magistrato incolpato deve essere fatta ex post e non capiamo perché non debba essere ex ante. Forse perché la valutazione ex post consente di ampliare il novero delle possibili giustificazioni». Ma non solo: «Si parla spesso di assenza di danni, di eco mediatica, di discredito. Non capiamo come sia stata verificata questa assenza. Tanto per capirci, qualcuno ha chiesto alle persone che hanno aspettato per anni un provvedimento che non arrivava mai se l’attesa sia stata dannosa per i loro interessi oppure no?». Ed infine: «Si accenna spesso all’emersione tardiva delle condotte incolpate e la si usa come causa di giustificazione. A noi pare un’aberrazione concettuale e non aggiungiamo nient’altro».

In altre parole, concludono Giglio e Radi, «dire che è irrilevante che una persona rimanga illegittimamente in carcere significa che non si vuole considerare gli effetti che ciò comporta». Una giustizia disciplinare, non a caso “domestica”, contraddistinta poi da numeri impietosi. Su oltre duemila segnalazioni di media, la percentuale di casi che finisce davanti alla Sezione disciplinare del Csm è pari ad appena il 5 percento. Prendendo come rifermento l’anno 2020, la sezione disciplinare ha concluso 114 giudizi: le condanne sono state 25, mentre tutti gli altri esiti sono stati di assoluzione, non doversi procedere, non luogo a procedere.