«Ce lo chiede l’Europa». È il “mantra” risuonato più volte ieri nell'aula di Montecitorio durante la discussione prima del voto finale sulla riforma della giustizia tributaria. Un voto che, come da previsioni della vigilia, non ha riservato sorprese: 288 voti favorevoli, 11 contrari, 27 astenuti, fra questi i parlamentari di Fratelli d'Italia. I tanto agognati fondi del Pnrr hanno, dunque, impresso un’accelerazione all’approvazione del testo che solo fino ad una settimana fa sembrava destinato a rimanere fra le riforme incompiute di questa legislatura.

Come è stato però ricordato l’altro giorno sul Dubbio, il Pnrr originariamente prevedeva solo di risolvere l’annosa questione dell’arretrato presso la Cassazione e non di riformare la giustizia tributaria con la creazione di una quinta magistratura. La riforma, approvata in tutta fretta, non risolve comunque il vero problema, evidenziato da tutti gli intervenuti, della giustizia tributaria: il rapporto di dipendenza dei giudici tributari con il ministero dell'Economia e delle Finanze che è parte del processo tributario con l’Agenzia delle entrate. Un “cortocircuito” che si trascina da sempre e che, inevitabilmente, rischia di incidere sull’indipendenza e terzietà del magistrato tributario, almeno sotto il profilo dell’immagine. A maggior ragione adesso che il Mef avrà competenze sulla gestione dei concorsi dei futuri magistrati tributari professionali e sul loro status giuridico.

Fra gli aspetti critici anche il divieto per i futuri magistrati tributari professionali di far parte della Cassazione. Un unicum fra le giurisdizioni: a regime, il giudizio di legittimità sarà effettuato da magistrati che non hanno mai scritto una sentenza nei gradi di merito. Durissima sul punto la meloniana Carolina Varchi, la quale ha annunciato che fra qualche settimana, quando Fratelli d’Italia avrà responsabilità di governo, il provvedimento sarà modificato per garantire finalmente «vera indipendenza» ai giudici tributari. Soddisfazione per la professionalizzazione del giudice da parte dell’Unione nazionale camere avvocati tributaristi (Uncat) e sotto, il profilo processuale, per l’ammissione della prova testimoniale e la introduzione del tentativo di conciliazione ad opera del giudice. Meno per il legame che continuerà ad esserci con il Mef.

Critica, invece, l’Associazione nazionale magistrati tributari (Amt): «La riforma mantiene e accentua il rapporto di dipendenza dei giudici tributari dal Mef, titolare dell’interesse oggetto delle controversie tributarie, in contrasto con i principi costituzionalmente garantiti dell’indipendenza e dell’imparzialità dei giudici e in chiaro contrasto con l’interesse dei contribuenti». E poi: «La mediazione finalizzata a garantire il principio di leale collaborazione tra Stato e cittadini rimane un istituto non obiettivo e non imparziale gestito e organizzato dalla stessa amministrazione finanziaria che emette avvisi di accertamento e cartelle di pagamento, mentre sarebbe - al contrario - necessario che la mediazione fosse svolta dinanzi a un organo che appaia e sia terzo e imparziale». L’Amt, che ha programmato l’astensione dalle udienze per il mese prossimo per protestare contro la riforma, ha poi stigmatizzato «la riduzione dell’età prevista per la cessazione dell’incarico dei giudici tributari, anche se in modo graduale, che comporterà una grave e irrimediabile compromissione delle funzionalità degli organi della giustizia tributaria».

In serata è intervenuto anche Antonio Leone, attuale presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. «Basandosi sullo stesso dossier del Senato - ha dichiarato Leone - la Camera ha approvato ieri al termine di un “turbo” dibattito la riforma della giustizia tributaria. È la prima prova del “monacameralismo” che può essere la strada per la futura democrazia parlamentare: riformare una giurisdizione così importante in poco più di due ore è un record. Del resto questa Camera non è riuscita a darsi le regole per il funzionamento di quella futura. Dopo aver ascoltato i vari interventi in Aula - ha aggiunto Leone - credo che in pochi si siano letti il testo della riforma e conoscano il funzionamento della giustizia tributaria in questo Paese. Ho sentito dire, infatti, che in Cassazione la percentuale di accoglimento dei ricorsi sulle sentenze delle Commissioni regionali tributarie è “nettamente superiore a quanto avviene in altri settori” e che solo i giudici professionali assunti per concorso garantiranno “maggiore specializzazione e competenza”. Si tratta di affermazioni senza alcun fondamento e che non tengono conto che la stessa Europa ha detto che la giustizia tributaria italiana è la più veloce. Sono giudizi altamente ingenerosi nei confronti dei circa 2800 giudici tributari che, pur fra mille difficolta e dietro compensi ridicoli, hanno amministrato questa giurisdizione. Vorrei ricordare che nella giustizia tributaria ci sono professionisti, avvocati e commercialisti, con esperienza pluridecennale nella materia, e magistrati provenienti dalle massime magistrature», ha proseguito Leone, apprezzando che il legislatore alla fine ne abbia valorizzato il ruolo dal momento che «l’ultimo giudice tributario onorario cesserà dall’incarico fra diversi anni».

Amarezza, invece, per il fatto che non siano state accolte le proposte «sul rafforzamento del Cpgt, in particolare per il ruolo autonomo del personale che è assolutamente necessario ai fini di intraprendere una solida autonomia dei giudice tributari».