In un saggio di geopolitica di una settantina di pagine pubblicato da Castelvecchi, giustamente elogiato nella prefazione da Romano Prodi perché “breve, intelligente e ben motivato”, Adolfo Battaglia e Stefano Silvestri hanno proposto un Consiglio Europeo di Sicurezza e Difesa come “risposta - dicono anche nel sottotitolo - a pericoli e declino” del vecchio continente, specie ora che è stato investito dalla guerra in Ucraina. Una guerra, in verità, non ancora scoppiata quando i due autori avevano persino terminato di scrivere il loro pamphlet, come deduco dalla data della prefazione di Prodi: il 2 gennaio scorso. Ma che Battaglia e Silvestri hanno fatto in tempo a inserire poi nelle loro motivazioni scrivendone all’inizio con tempestività giornalistica e dedicandole il titolo: “Guerra in Europa”.

«Anche se moltissime cose sono cambiate - hanno osservato, anzi esordito l’ex ministro repubblicano dell’Industria e l’ex sottosegretario alla Difesa, fra gli anni rispettivamente della mai abbastanza rimpianta Prima Repubblica e i primi della seconda - l’Europa ha vissuto una volta di più l’esperienza dei carri armati russi inviati a ricondurre all'ordine» un Paese al quale Mosca riconosce «una sovranità limitata dai propri interessi». “In questo caso l’Ucraina, un tempo - hanno ricordato gli autori - l’Ungheria, la Polonia o la Cecoslovacchia», in una sinistra continuità fra la Russia sovietica e quella post- sovietica di Putin sulle tracce non più di Stalin e successori ma, ancor prima di loro, di Pietro il Grande.

«Questa volta - si legge nel pamphlet - l’intervento è stato accompagnato da tali intimidazioni e violazioni del diritto internazionale da ricordare ad alcuni, sebbene la Storia non si ripeta mai, la buia stagione della Conferenza di Monaco, che nel 1938 segnò l’inizio dell’aggressione hitleriana all’Europa». E poi, osservo più modestamente io, c’è ancora chi contesta gli aiuti militari dei paesi europei e degli alleati atlantici all’Ucraina così ferocemente aggredita dalla Russia.

La formazione di un Consiglio Europeo di Sicurezza e di Difesa è proposto nel saggio di Battaglia e Silvestri «fra un certo numero di nazioni, fortemente integrato, strettamente collegato alla Nato e all’Ue, ma esterno e indipendente da ambedue». «E con l’introduzione dell’indispensabile principio del voto a maggioranza, accompagnato forse dalla “valvola di sicurezza” già individuata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: un possibile diritto di veto che rappresenterebbe un “bilanciamento” utile tanto per motivi politici quanto per ragioni giuridiche di possibili obiezioni costituzionali».

Questa soluzione, pur essendo «una formula di compromesso» rispetto ad altre più stringenti e immediate ma di difficile realizzazione, «avrebbe il vantaggio di stabilire subito la volontà comune di raggiungere un obiettivo ambizioso», senza peraltro limitarsi a «condurre insieme alcune operazioni militari», ma procedendo «anche a forme di integrazione degli strumenti, riducendo drasticamente le attuali duplicazioni nazionali a vantaggio di comandi e organizzazioni multinazionali». «È illusorio - spiegano gli autori - porsi oggi l’obiettivo difforme di armate europee perfettamente integrate in un’unica realtà, ma dovrebbe essere possibile integrare il loro funzionamento e le loro programmazioni».

Un Consiglio Europeo di Sicurezza e di Difesa risponde anche alla necessità di non proseguire nella situazione attuale da alcuni riconducibile persino allo «schema ben noto nella difesa europea di «"ognuno per sé e gli Usa per tutti", che ha caratterizzato la Nato negli anni della Guerra Fredda, ma che oggi sembra essere definitivamente condannato a entrare in crisi». Uno schema peraltro che consente la degenerazione delle polemiche, nel caso della vicenda dell’Ucraina, sino alla rappresentazione di guerre “per procura”. Tale sarebbe quella che Zelensky condurrebbe, secondo gli avversari e critici, per conto degli americani, sulla pelle del proprio Paese.

La strada verso una comune difesa, come quella già percorsa della moneta unica, consentirebbe all’Europa di uscire anche dal cono d’ombra lamentato da Prodi in una sua autobiografia dell’anno scorso, e ricordato con una certa condivisione da Battaglia e Silvestri a proposito delle sue conferenze e lezioni in Cina e negli Stati Uniti. «Nel periodo iniziale del mio insegnamento - aveva ricordato Prodi, ex presidente, non dimentichiamolo, della Commissione Europea, e non solo del Consiglio dei Ministri italiano - tanto gli studenti cinesi quanto quelli americani mi chiedevano con insistenza di tenere lezioni sull’Unione Europea. Col passare del tempo l’Europa ha interessato sempre meno i miei studenti dell’Est e dell’Ovest. Oggi, poco o nulla».

La strada verso una comune difesa europea e il progresso dell’economia nell’Unione, che egli ha vantato «a differenza dei due autorevoli autori» del saggio, potrebbero far tornare «gli studenti cinesi e americani», come li ha chiamati nella prefazione Romano Prodi, a «dedicare almeno un minimo di attenzione al vecchio continente».