Uno. L’asse strategico di Forza Italia, fin dalla sua nascita, è stato semplice e robusto: garantire, dopo il crollo della Dc, una forza saldamente ancorata e inchiodata a un centro liberaldemocratico moderato con posizioni euroatlantiche. Una collocazione che garantiva la possibilità di governi capaci di neutralizzare l’estremismo delle forze di destra e di destra estrema, Lega separatista dell’iniziale Bossi inclusa. Nello stesso tempo, Forza Italia si appropriava del cuore della vecchia, anche se ormai consumata Dc, e utilizzava in un ruolo subalterno le forze della destra italiana. Da lì sarebbe stato possibile bloccare le ambizioni della sinistra di origine comunista e perfino della sinistra moderata e/o di memoria craxiana, tranne che per la parte conquistata e confluita nello stesso progetto. Il tutto, altro tassello strategico ignorato e/o sottovalutato al tempo da tutti i suoi avversari, la forza del progetto era moltiplicata dall’irrompere di un meccanismo mediatico nuovo la cui potenza non temeva confronti: le televisioni con a capo Canale5. Il progetto si affermò risultando subito vincente perché dava una risposta soddisfacente alla cultura politica degli italiani. L’estromissione di Fini dopo il suo patetico “Che fai, mi cacci?” senza che il berlusconismo pagasse alcun prezzo, dimostra quanto fossero ampi e radicati i suoi margini di manovra. Tanti anni dopo, vissuti tra successi elettorali e disavventure giudiziarie (che qui non vengono valutate nel merito), hanno via via logorato il Cavaliere senza però mai emarginarlo. Condannato per avere imbrogliato con le tasse, pur continuando a professare la propria innocenza e inseguendola nei tribunali internazionali, Berlusconi ha diligentemente assolto agli obblighi della condanna svolgendo tutte le attività alternative al carcere che gli erano state inflitte. Poi è tornata la normalità e, via via, la voglia di recuperare forza e prestigio. Via via ma con la fretta, e forse l’ansia, del tempo che passa e che con nessuna cifra al mondo si può acquistare. Per Berlusconi la voglia e il progetto di tornare ai bei tempi, mentre scemava la sua antica forza elettorale, non gli è venuta mai meno. In questo quadro il Cavaliere s’è avvicinato e legato sempre di più a Matteo Salvini (anche grazie a uno degli strateghi del berlusconismo, Denis Verdini, che è anche il padre della compagna di Salvini) fino a fare del leader leghista il suo erede di fatto, il politico a cui offrire e donare tutte le energie rimaste in Forza Italia. Una scelta strategica lontana dalla Meloni ma anche dal cuore e dal patrimonio, ormai sempre più svuotato, di Forza Italia. Un marcato ed esplicito indizio che Berlusconi non si consideri un uomo del passato è apparso, da tutti ignorato e/o sottovalutato, quando il Cavaliere ha deciso di candidarsi alla Presidenza della Repubblica per prendere il posto di Mattarella. A gennaio di quest’anno, durante le elezioni del nuovo Capo dello Stato, andò in onda un progetto vero, coltivato e inseguito. Non un’esibizione. Bisognava realizzarlo con attenzione per dare corpo ai sogni che Verdini, Dell’Utri e Confalonieri avevano costruito. È lo stesso Verdini, in una mail inviata, dagli arresti domiciliari, a dell’Utri e Confalonieri a ridosso delle quirinalizie, a svelare i retroscena: “È stato bello sognare di mandare Silvio al Quirinale”. Aggiunge “il Presidente (Berlusconi, ndr) ha dato informalmente ‘certezze’ su presunte disponibilità di voti in suo favore, al di fuori del centrodestra”. Ed è in questo quadro che Verdini si preoccupa anche di Salvini (suo quasi genero) al quale “si può chiedere dunque lealtà, ma non fedeltà assoluta, senza se e senza ma. Perché un’eventuale sconfitta sul Quirinale (di Berlusconi, ndr) pregiudicherebbe anche la sua (di Salvini, ndr) carriera politica”. Sono i passaggi di un progetto strategico seguito con attenzione da diversi protagonisti. Tutti ricordano che Berlusconi, nel mezzo delle quirinalizie che avrebbero rieletto Mattarella con un plebiscito (759 voti, 77,2%, il secondo della storia dopo Pertini), ritirando la sua candidatura, spiegò che non la considerava una sconfitta perché sarebbe potuto andare molto oltre nella raccolta del consenso. E si vantò di chiudere e che chiudeva per responsabilità. Pochi, tranne quelli del più ristretto giro berlusconiano, hanno creduto che la sua fosse una candidatura reale. Ma Berlusconi l’aveva avanzata e tenuta ferma. L’ha ritirata solo quando ha perduto le speranze. Approfittandone, però, per accreditarsi come un leader responsabile capace di sacrificarsi per garantire il futuro del paese. Intanto, continuava a legare a sé Matteo Salvini accettandone sempre di più la sua politica. Certo, oggi non può che aver fretta, Berlusconi. Si può comprare tutto. Tranne il tempo. E il Cavaliere deve sbrigarsi per realizzare il suo obiettivo: consegnarsi alla storia del paese come un grande leader perseguitato per la sua grandezza e non per non aver pagato le tasse. Tornare al vertice del paese, riconosciuto e rimborsato per le persecuzioni subite è insieme sogno, progetto e impresa. Due. La caduta del governo Draghi, votato in Parlamento, è stata decisa una villa dell’Appia Antica, attuale dimora romana di Berlusconi. Lì era riunito gran parte del centrodestra italiano. Berlusconi e Salvini, con l’appoggio felice di Giorgia Meloni, hanno pensato e poi fatto la mossa che avrebbe provocato irreversibilmente la caduta e le dimissioni di Draghi. Non s’è capito immediatamente chi aveva deciso di far cadere realmente il governo di Draghi perché la furbizia confusionaria di Conte ha nascosto e in qualche modo continua a nascondere luogo e autori dell’affossamento di quel governo. Ma procediamo con ordine. Conte, già presidente del Consiglio di due governi di segno politico opposto, ormai in caduta libera nei consensi, ha immaginato di poter risalire la china avviando da subito la campagna elettorale con l’evidente obiettivo di far pagare agli altri i danni e di avere lui i vantaggi per le decisioni del governo Draghi. Insomma, ha puntato su una radicalizzazione dello scontro col governo per accrescere i consensi dei 5S ancor più infragiliti dalla scissione di Di Maio. Come prima mossa s’è impadronito del disagio degli italiani per la fornitura di armi all’Ucraina. Nessuno è contento di fornire armi. Dolorosa necessità per contenere e accorciare l’aggressione. Fin qui Conte ha copiato Salvini. Battuto dalla determinazione di Draghi, e dai voti ottenuti dal Capo del governo in Parlamento, ha giocato più alto con un documento che quasi riassume un programma di governo a tratti alternativo, ed ha spinto i grillini che fanno parte del governo a non votare la fiducia a Draghi. Di una cosa era certo Conte: che in nessun caso il governo sarebbe caduto provocando lo scioglimento del Parlamento. Non a caso i ministri e i sottosegretari 5s sono sempre rimasti al loro posto né Conte si è mai sognato di chiedergli di dimettersi. S’è così innescata una discussione complicata: Conte a minacciar nei fatti di uscire dalla maggioranza e Draghi a ripetere che lui, fin dall’inizio del suo mandato, si era impegnato, e aveva ripetuto, che non avrebbe diretto nessun altro governo diverso da quello esistente che era stato presentato e approvato (con la sola opposizione di FdI e piccoli e non decisivi frammenti parlamentari) nel febbraio del 2021. Di certo l’unica cosa certamente lontanissima dalla testa di Conte è che le sue pretese potessero innescare la caduta del governo Draghi (compresi i ministri 5s che ne facevano parte). E’ a questo punto che il centrodestra fulmineo ha fatto la mossa del cavallo dando scacco matto a Draghi e al sempre più confuso partito dei 5s. Berlusconi e Salvini dalla villa dell’Appia hanno ufficialmente dichiarato che Conte e i 5s avrebbero dovuto lasciare il governo e che loro con Conte e i 5s non volevano aver più alcun rapporto. Si apprezzi la finezza: il centrodestra non toglie la fiducia a Draghi ma chiede in modo perentorio che escano dal Governo. La richiesta, apparentemente contro i 5s, è in realtà contro Draghi e lo rovescia, perché modifica la condizione vincolante da lui posta di essere disponibile a dirigere solo e soltanto un governo di larga unità nazionale uguale a quello eletto nel 2021. Ed infatti Draghi, che è tornato alle Camere su richiesta di Mattarella dopo l’apertura della crisi per il mancato appoggio dei 5s, appena appresa la posizione ufficiale del centrodestra elaborata da Berlusconi e Salvini torna da Mattarella e si dimette nuovamente costringendo di fatto il Presidente della repubblica a sciogliere il Parlamento e ad indire nuove elezioni. Tre. Il centrodestra ritiene che alle prossime elezioni non ci sarà partita: stravincerà. Salvini ha dichiarato che dal 25 settembre, data delle elezioni, in Italia non entreranno più profughi. Significa (e in parte, tranquillizza la Meloni) che per quella data sarà lui il ministro dell’Interno, non quella signora incapace che gli ha preso il posto, e quindi il problema profughi sarà risolto. La Meloni, intanto, ripete che il governo verrà affidato al partito di destra che prenderà più voti. Cioè, a lei. E’ sicura: sarà (finalmente) la prima donna in Italia a dirigere un governo. Sul punto potrebbero esserci dissensi. E Berlusconi che ha ospitato tra le sue stanze i leader del centrodestra? Non ha più sospesi con la giustizia e certamente si candiderà. Dicono tutti che voglia fare il senatore. E tutti sono certi che voglia fare il Presidente del senato. Francamente è difficile immaginarlo che per ore e ore prenda appunti, richiami i suoi colleghi intemperanti, li ascolti senza a un certo punto farsi vincere dal sonno, li tenga calmi quando si agitano. C’è qualcosa che non torna in queste dicerie. A meno che il Cavaliere non tenga conto che il Presidente del Senato è la seconda carica dello Stato. Un gradino appena sotto il Presidente della Repubblica. E non è detto che Mattarella sia disposto a restar lì ancora sette anni filati.