A decidere sulla sorte del governo e della legislatura non sono più i 5S e forse non è più nemmeno Mario Draghi: sono Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, Fi e soprattutto la Lega. I segnali, tanto laconici quanto ermetici, che arrivano da palazzo Chigi sembrano infatti indicare che le pressioni su Draghi, soprattutto quelle estere ai massimi livelli, abbiano sortito qualche effetto. Le dimissioni, che già non erano "irrevocabili" nella forma, non lo sono più neppure nella sostanza. Tutto dipende da come si porranno i partiti della maggioranza, quelli che restano dopo l'uscita del "partito di Conte". Dei 5S, dopo la nuova scissione prossima ventura, si dirà che semplicemente non esistono più, e ciò dovrebbe giustificare l'eventuale retromarcia del premier sulla decisione di non governare senza il Movimento. Ma a Draghi non basterà che tutti gli altri, e anche i 5S di Conte, che opteranno per l'appoggio esterno, votino la fiducia. Vuole un gesto politico. Un documento, una risoluzione, comunque un impegno ad accettare senza più resistenze le scelte del governo, non rinunciando ai propri temi però assicurando che gli eventuali dissensi non verranno mai portati alle estreme conseguenze e non si tradurranno in una guerriglia che rallenta tutto come è successo e sta ancora succedendo sulla delega fiscale. È probabile che il premier dimissionario si aspetti anche segnali di minore rissosità tra i partiti della maggioranza, almeno quando è chiamata in causa l'azione di governo. Sono attese nei confronti di tutti ma soprattutto della Lega. Il partito di Salvini è in realtà protagonista sotterraneo, spesso addirittura "per interposto Conte", di tutta questa crisi. Non è un mistero che Draghi sia stato guidato in tutte le sue scelte dalla paura dell' "effetto domino", dalla consapevolezza che cedere alle richieste di Conte o permettergli di disertare il voto senza drammatizzazioni massime avrebbe spinto la Lega a comportarsi nello stesso modo, con effetti devastanti sull'efficienza e l'efficacia del governo. Il premier ha spiegato anche pubblicamente la convinzione di non poter guidare un governo senza i 5S con lo squilibrio che si sarebbe creato tra le due opposte ali della maggioranza. Lo showdown con il partito di Conte è dunque un modo per arrivare al chiarimento finale anche con quello di Salvini. La delegazione azzurra al governo non ha mai dato problemi al premier, se possibile è stata persino più fedele del Pd. Ma con Berlusconi il discorso è diverso: il Cavaliere è ancora più fermo di Salvini nel puntare i piedi sulla delega fiscale in particolare contro la riforma del catasto. Da quando è iniziata la crisi, poi, l'uomo di Arcore ha tentato di bruciare tutti i ponti, convinto che per la destra tutta e per il partito azzurro in particolare l'occasione sia imperdibile. Tanto ne è certo che ha resistito negli ultimi giorni a una raffica di pressioni seconda solo a quella a cui è sottoposto Draghi: i suoi ministri, il Ppe, Gianni Letta, il Colle. Dunque i leader del "centrodestra di governo" si trovano ora di fronte a un bivio. Se, facendo capire che non molleranno sui loro temi, impediscono che la maggioranza offra a Draghi quel "gesto politico" che per il premier è dirimente, vinceranno facilmente le elezioni ma dovranno poi fare i conti con il primato di FdI all'interno della coalizione e, ancora prima, con le resistenze interne. Berlusconi può permettersi di ignorare quelle azzurre molto più di quanto non possa fare Salvini, essendo quelle resistenze incarnate nella vera spina dorsale della Lega, l'eterno e potentissimo "partito del nord". Quello dei governatori e della "base produttiva" settentrionale. Se invece si rassegnano ad accettare la nuova formula rinunciano a una vittoria facile, si rassegnano ad avere le mani di fatto legate per i prossimi mesi, di certo fino a dicembre ma probabilmente anche oltre, e si muovono di fatto verso un orizzonte molto diverso. A questo punto e con qualche mese ancora a disposizione è quasi certo il varo di una legge elettorale proporzionale, con soglia alta al 4-5 per cento e con premio di maggioranza solo oltre la soglia quasi irraggiungibile del 43-45 per cento. Lega e Fi giocherebbero dunque su due tavoli, quello dell'alleanza di destra ma anche quello di una riproposizione dell'attuale schema con la stessa maggioranza anche dopo le elezioni e naturalmente anche con lo stesso premier. Quello che dirà e farà Draghi in Parlamento dipenderà in buona parte da qual strada decideranno di imboccare Salvini e Berlusconi.