Giovanni Orsina, direttore della School of Government dell’università LUISS - Guido Carli, è ancora fiducioso sul fatto che «alla fine una qualche forma di soluzione verrà trovata» per tenere in piedi il governo Draghi, e in caso di crisi non crede alle elezioni anticipate, piuttosto a un Draghi bis. «Mattarella farà di tutto per non sciogliere le Camere - spiega - E un governo istituzionale guidato da una figura diversa da Draghi sarebbe veramente azzardato e complesso da mettere in piedi, dopodiché non si può escludere nulla».

Direttore Orsina, crede che oggi sarà il giorno dello show down del governo Draghi?

Contro ogni segnale continuo a essere scettico sulla possibilità di una crisi di governo. Credo insomma che alla fine una qualche forma di soluzione verrà trovata. Lo dico perché siamo a metà luglio, c’è la guerra, la pandemia, l’inflazione, la siccità. Muovere i pezzi in questo momento mi pare molto complicato. Per quanto il Movimento possa essere in crisi e talmente debole che non riesce a reggere, penso che la quadra verrà trovata. Anche se, certo, i segnali in questi giorni si sono infittiti e la spinta da parte del M5S sta montando.

Dall’altra parte c’è il presidente del Consiglio che da un lato ha lanciato segnali a Conte su contratti e salario minimo, dall’altra non accetta ultimatum. Cosa passa per la testa di Draghi?

L’impressione forte è che Draghi sia molto stanco di questa situazione, ma anche dal suo punto di vista aprire una crisi di governo in questo momento non sarebbe il massimo. È un uomo delle istituzioni e il garante della stabilità all’esterno, quindi per quanto possa essere stanco se c’è una via d’uscita onorevole per lui sarà difficile dire di no. Si stanno tutti collocando su delle posizioni negoziali ma al momento è difficile per tutti prendersi la responsabilità di dichiarare fallito il negoziato.

Ha parlato di una soluzione da trovare per evitare la crisi di governo: quale potrebbe essere questa via d’uscita onorevole?

Il Movimento potrebbe non votare il singolo provvedimento ma confermare la fiducia al governo nel caso in cui dovesse essere rinviato alle Camere. Ma bisognerebbe anche vedere che cosa significa istituzionalmente che un partito esce al momento della fiducia ma dice che la voterebbe. È un bel pastrocchio. Vero è che l’Italia è il paese della creatività istituzionale, ma non so se ci si può spingere fino a tanto. In ogni caso penso che se ci sarà una soluzione accettabile non sarà Draghi a dire di no, anche se mi rendo conto che la situazione è molto deteriorata. Quello che vedo è che ci sono molte forze che spingono perché un qualche tipo di soluzione si trovi.

Una di queste è il Pd, che ieri con Letta si è iscritto al partito del «se cade il governo si va al voto». Che aria tira tra i dem

Il Pd è in una situazione estremamente difficile. Ha fatto già da tempo una grande scommessa sul M5S come interlocutore privilegiato e anche come l’alleato che potesse tenere meglio insieme le varie anime del Pd. Non dimentichiamoci che il Pd è un partito fortemente diviso al suo interno. Con Letta le divisioni sono sopite ma non scomparse. Da quando Zingaretti si dimise denunciando scorrettezze è passato un anno e mezzo, non un secolo. La strategia dell’immobilismo felice tenuta fin qui da Letta, e finora dimostratasi vincente, adesso mostra un po’ la corda perché il principale alleato si sta staccando dal governo. E se il M5S si stacca dal governo e lascia il Pd ostaggio di Lega e Forza Italia, beh i dem certo non possono essere contenti.

Tra le forze che invece possono trarre beneficio da questa situazione ci sono quelle di centrodestra, che però sono divise tra maggioranza e opposizione. Come vede la partita da quel punto di vista?

Beh, Meloni è in una situazione ideale perché comunque vada a finire può ricavarne soltanto qualcosa di buono. Può dire ad esempio di aver avuto ragione quando diceva che con il M5S non si può governare. Anche Per Lega e Forza Italia tutto sommato è una situazione positiva perché hanno due strade entrambe funzionanti. La prima è creare un nuovo assetto governativo in cui contano più di ora; l’altra è andare al voto, che a una parte del centrodestra potrebbe anche andare bene.

Quindi in sostanza un Movimento che dice addio al governo può solo far bene al centrodestra, giusto?

Sì, anche se il centrodestra di governo deve evitare di restare con il cerino in mano: se dovesse saltare tutto, dovrà fare in modo che sia molto chiaro che la responsabilità è del M5S. Cioè dovrà mostrare di aver provato in ogni modo a garantire la stabilità del paese.

E i partiti di centro come la vedono? Andare al voto ora sarebbe un problema, ma la tentazione di vedere il M5S fuori dal governo potrebbe essere forte…

È molto difficile leggere le strategie del centro, per quanto è instabile e magmatico quel mondo. Per un verso non vogliono il voto subito perché ancora devono capire in che direzione si muovono e da che parte stanno; per un altro, essendo nemici storici del M5S, se questo esce dalla maggioranza e si sposta su una posizione “dibattistiana”, per loro si aprono nuovi spazi perché il Pd deve tornare a guardare al centro, ammesso che la sinistra dem non si irrigidisca. Certo sarebbe piuttosto strano un Movimento “movimentista” a guida Conte, ma tant’è.

Ipotizziamo che non si arrivi a un accordo e si arrivi inevitabilmente alla crisi di governo: come si muoverebbe a quel punto il capo dello Stato?

Mattarella farà di tutto per non sciogliere le Camere. Abbiamo imparato a conoscerlo in questi sette anni e mezzo e farà di tutto per valutare se dal Parlamento può emergere una nuova maggioranza. E in quel caso per il presidente del Consiglio ci sarebbe una forte spinta istituzionale ad andare avanti. E l’impressione è che Mattarella farebbe di tutto anche per tenere Draghi al suo posto. Un governo istituzionale guidato da una figura diversa da Draghi sarebbe veramente azzardato e complesso da mettere in piedi, dopodiché non si può escludere nulla. Ma il punto è questo: se la situazione dovesse saltare e Mattarella dovesse chiedere a Draghi di restare comunque in sella ancora quattro mesi, diciamo fino alla legge di bilancio, come farebbe Draghi a dire di no?