«Quando da piccola ascoltavo le storie di mia nonna, cresciuta durante la guerra, mi sembravano racconti di fantasia. Ora invece capisco, e mi rendo conto che niente è più prezioso della vita umana». L’appuntamento con Anna Kuharchuk è in centro a Cracovia, in tarda serata. Porta con sé suo figlio di 9 anni, Sasha. «Non ho nessuno a cui lasciarlo», mi dice al telefono. Lui non capisce una sola parola di quello che dico, ma mi abbraccia forte, anche se non ci siamo mai visti. Da quando è scoppiata la guerra vivono insieme in Polonia, loro due soli. Lei fa su e giù dall’Ucraina per continuare a seguire i clienti del suo studio legale a Kiev, rimasto completamente distrutto in un bombardamento lo scorso 16 marzo. «Questa chiacchierata è un vero sollievo - dice Anna - da quando sono qui mi sembra di essere tagliata fuori dalla società…».

Come state tu e Sasha, Anna?

Adesso va un po’ meglio, ci siamo adattati. Abbiamo ricostruito la nostra quotidianità, abbiamo imparato le regole e la lingua di un altro paese.

Quando siete arrivati a Cracovia?

Lo scorso marzo, sono scappata qui per mettere in salvo mio figlio. Prima della guerra non ero mai stata all’estero, neanche per una vacanza. E ora guarda qui (mi mostra il passaporto, pieno zeppo di timbri): continuo a viaggiare in tutta l’Ucraina, dai miei clienti, e ogni volta che parto lascio qui il piccolo da una delle sue nonne, che per tenerlo arrivano in Polonia da Kiev e  Chernihiv.

Come si vive qui?

Al bimbo piace. (Lei storce il naso)

Vi hanno accolto dei parenti, o degli amici, quando siete arrivati?

No, non abbiamo nessuno. Abbiamo preso un appartamento, e viviamo noi due soli.

Come fai con il lavoro, la tua attività da avvocata prosegue?

Per fortuna ho il mio studio legale. E i miei clienti lavorano principalmente nel campo medico e agricolo, due settori che continuano a funzionare anche con la guerra.

Lo studio si occupa anche delle questioni relative al conflitto, come la raccolta di prove su violazioni e crimini di guerra?

Solo da un punto di vista di risarcimento del danno, quello che hanno subito le aziende che seguo.

Per stare qui avete ottenuto lo status di rifugiati?

Abbiamo chiesto solo il codice fiscale, per ottenere l’assistenza sanitaria gratuita. Per tutelare il mio bimbo.

Hai paura, quando lo lasci qui e torni in Ucraina?

Ho molti clienti a Chernihiv, che ora è sotto le bombe. A Kiev la vita continua, in qualche modo. Lì invece è angosciante, è un deserto senza anima viva per strada.

Dov’eri il 24 febbraio, quando Mosca ha lanciato l'attacco?

Siamo stati fortunati, perché in quei giorni mi trovavo per lavoro nell’ovest dell’Ucraina, nelle zone meno colpite. Mio figlio era con me. Di prima mattina hanno cominciato a chiamarmi per avvisarmi di ciò che accadeva. Ma non riuscivo a capire, ero nel panico.

Il tuo studio legale a Kiev, Npp Legal, è stato distrutto. 

Sì, è stato colpito da un missile russo lo scorso marzo. Le finestre sono esplose, un muro è crollato. C’erano detriti e schegge di vetro ovunque. Fascicoli e documenti sensibili volati via. Nessuno è più tornato sul posto, perché lo studio si trova in un edificio molto alto, in una specie di centro direzionale, e non ne conosciamo lo stato di agibilità.

Cosa hai provato in quel momento?

(Si commuove, mi sorride). Tanto dolore. Non riuscivo a crederci: anni di duro lavoro e sacrificio spazzati via in un istante. Ho investito tanto tempo e risorse per mettere in piedi il mio studio, privando anche mio figlio di risorse e attenzione.

Come hai fatto a ricominciare, dopo?

Adesso lavoriamo in smartworking, ho dovuto fornire nuova attrezzatura a tutti i miei collaboratori. Ho fatto un tour di tutta l’Ucraina, dove sono rifugiati, per garantire loro tutto il necessario.

In quanti siete allo studio?

Sei in tutto, cinque legali più un commercialista.

Conosci colleghi che stanno combattendo in questo momento?

Non personalmente, ma so di tante storie così, anche di magistrati.

Cosa ti manca di più, della vita precedente al conflitto?

La mia casa, niente più. (A quel punto il bimbo dice qualcosa in ucraino, lei scoppia a ridere). Ti racconto una cosa “divertente”.

Dimmi. 

Come raccontavo, quando è scoppiata la guerra eravamo fuori città. Abbiamo lasciato a casa la gatta, come facciamo sempre, per qualche giorno. Ma questa volta siamo tornati dopo 20 giorni. E lei è sopravvissuta. Ha trovato il modo di aprire il cibo, si è adattata. E allora abbiamo pensato: se lei ce l’ha fatta, vinceremo anche questa guerra.

Cosa ti auguri per il futuro, per tuo figlio?

Quando da piccola ascoltavo le storie della mia nonna, che è cresciuta durante la guerra, in una baracca, mi sembravano racconti di fantasia. Quando è cominciata questa guerra ho capito quanto fossero reali. Che non c’è niente di più prezioso della vita umana. Le altre preoccupazioni svaniscono. Non ti preoccupi di essere strano, ridicolo. Ci siamo aiutati l’uno con l’altro, durante le evacuazioni, senza badare alle differenze, alle formalità. Ora sto cercando di insegnare a mio figlio che qualsiasi situazione ti possa capitare, anche la più brutta, può insegnare qualcosa. Non bisogna mai sentirsi vittime. Perché anche questa terribile guerra può essere un’occasione per mostrare la parte migliore di sé.