Il presidente del Coa di Nocera Inferiore, Guido Casalino, unisce garbo e determinazione nella sua azione quotidiana a difesa del Foro nocerino. Lo sta facendo in un momento molto delicato, caratterizzato, prima di tutto, dalla mancanza di personale negli uffici giudiziari. Una situazione che ha risvolti molto negativi per i cittadini e per gli avvocati. Il Coa ha proclamato a maggio l’astensione dalle udienze. A ciò si sono aggiunte le clamorose dimissione del presidente del Tribunale, Antonio Sergio Robustella, sostituito da un magistrato di lungo corso, Vito Colucci, nelle vesti di facente funzioni. «La strada dell’avvocatura – dice al Dubbio l’avvocato Casalino è sempre stata irta di ostacoli, ma la crisi che da oramai molto tempo sta attanagliando la giustizia ha determinato un progressivo peggioramento dell’esercizio della nostra professione. Fare l’avvocato è divenuto sicuramente più difficile. A mio avviso, l’emergenza legata alla pandemia degli ultimi due anni e la conseguente diminuzione della richiesta di servizi professionali hanno solamente amplificato un problema che ha origini lontane. Ritengo, infatti, che la cronica carenza di personale amministrativo negli uffici giudiziari, il numero di magistrati sicuramente insufficiente a fornire una adeguata risposta di giustizia ai cittadini in tempi rapidi e le carenze strutturali del settore sono responsabili, oltre che delle inefficienze e delle lungaggini dei processi, anche di un forte senso di scoramento tra i giovani colleghi, che sempre in un numero maggiore stanno voltando le spalle alla professione».

Il circondario del Coa di Nocera Inferiore conta 19 Comuni ad alta densità abitativa con una popolazione complessiva di circa 400mila abitanti. Gli iscritti al Coa sono 2074 (1124 avvocati, 950 avvocate), mentre i praticanti sono 626 (in questo caso prevalgono le donne, 380, sugli uomini, 246). Dall’inizio dell’anno le cancellazioni dall’albo sono state 167.

«Dal recente rapporto sull’avvocatura, predisposto da Cassa Forense - evidenzia il presidente del Coa di Nocera Inferiore -, risulta che solo nel corso dell’anno 2021 sono stati oltre tremila gli avvocati ad abbandonare la toga. Anche il nostro Ordine non è stato risparmiato da questo preoccupante fenomeno. Alcuni colleghi, infatti, anche di comprovata esperienza, hanno lasciato la professione perché sono risultati vincitori di concorso e, quindi, hanno deciso di intraprendere la carriera nel settore pubblico, considerata più sicura e gratificante. Altri, purtroppo, si sono cancellati dall’albo in quanto non più in grado di sopportare gli eccessivi costi connessi all’esercizio della professione e i margini di guadagno ristretti. Basti pensare che negli ultimi due anni di pandemia il reddito medio degli avvocati si è ulteriormente ridotto, soprattutto al Sud dove i colleghi sotto i trent’anni hanno registrato un reddito medio di circa 13mila euro».

Una situazione, dunque, che sembra prevedere per il futuro una minore presenza di toghe e che, secondo il presidente degli avvocati di Nocera Inferiore, dovrebbe indurre a correre ai ripari: «Analizzando i dati forniti da Cassa Forense e dal Censis, questa è la tendenza. È un segnale che addolora l’intera categoria, in particolar modo se si considera il fatto che parecchi colleghi dicono addio al prestigio della toga per la sicurezza di uno stipendio e per una maggiore tranquillità economica, che purtroppo la toga non garantisce più. Personalmente, però, ritengo che le cause dell’allontanamento dalla professione forense siano molteplici e riconducibili non solo all’aspetto strettamente economico».

«I numerosi concorsi previsti nella pubblica amministrazione in seguito all’introduzione del Pnrr, gli effetti della pandemia che ha quasi paralizzato l’attività giudiziaria e professionale, le tante criticità del sistema giustizia stanno determinando la progressiva perdita del fascino della toga. Molti giovani si vedono proiettati più verso percorsi professionali diversi, che ritengono meno saturi e più gratificanti. La riduzione del numero di iscritti dovrà essere colta come un’occasione di rilancio dell’avvocatura e, quindi, come un’opportunità per procedere a un intervento di riqualificazione della professione che deve necessariamente partire dalle Università, dove si dovrà tener conto delle mutate esigenze e delle rinnovate dinamiche del mercato. Ad ogni modo, prendere atto che esistono difficoltà oggettive non vuol dire che sia ormai venuto meno il prestigio della nostra professione, perché fare l’avvocato non è un mestiere come un altro, ma una va considerato come una vera e propria “missione”, da svolgere con dedizione, coraggio e passione».

«La fase posta pandemica e le risorse del Pnrr potrebbero sortire effetti positivi per l'avvocatura. Ma guai a farsi trasportare dai facili entusiasmi. «Nel corso degli ultimi due anni interessati dalla pandemia - aggiunge il presidente Casalino -, l’avvocatura ha attraversato momenti duri e difficili. Noi avvocati abbiamo cercato in tutti i modi di resistere alla paralisi dell’attività giudiziaria, che, però, ha lasciato strascichi evidenti, determinando notevoli ripercussioni non solo per la nostra categoria, ma anche per le aspettative di giustizia dei cittadini e delle imprese.

«Gli effetti della crisi economico-finanziaria derivante dalla pandemia sono stati percepiti da tutti gli avvocati già da tempo sofferenti per la crisi che da diversi anni attanaglia il nostro settore e che ha determinato una minore redditività rispetto alle altre professioni. Da qualche mese, finalmente, con il lento ma progressivo ritorno alla normalità sembrerebbe essersi aperto uno spiraglio per una ripresa della nostra attività. Il Pnrr si pone l’obiettivo di riformare l’intero sistema giustizia con una notevole iniezione di denaro, che consentirà all’intero apparato di aggiornarsi e di essere al passo con i tempi e più competitivo in Europa. Lo scopo principale sarà quello di ridurre notevolmente i tempi delle cause penali, ma, in particolar modo, di quelle civili. Siamo tutti consapevoli del fatto che la lentezza della giustizia comporta una sfiducia per i cittadini e, soprattutto, va a ledere la competitività delle imprese e la loro propensione ad investire nel nostro Paese».