Che triste spettacolo quello dello scontro tra Partito Radicale e Unione delle Camere Penali. A poche ore dall'esito referendario anni di battaglie fatte insieme si polverizzano a suon di interviste e comunicati. Ha iniziato il presidente dei penalisti Gian Domenico Caiazza che in una intervista di ieri al Corriere della Sera ha parlato di "improvvisazione" criticando aspramente la decisione del Partito Radicale di appaltare esclusivamente alla Lega la scelta e la scrittura dei quesiti e ha stigmatizzato anche lo sciopero della fame di Roberto Calderoli. In una nota la Giunta dell'Ucpi aveva aggiunto che si è trattata di «una scelta incomprensibile, politicamente insensata, perché un percorso referendario così complesso e così prevedibilmente osteggiato avrebbe preteso l’esatto contrario, cioè la più larga condivisione delle scelte, delle responsabilità, delle energie. Il rischio è che il Paese possa pagare a caro prezzo questa scelta incomprensibile». Anche Andrea Soliani, presidente della Camera Penale di Milano, condivide le articolate considerazioni espresse da Gian Domenico Caiazza. «Nessun dubbio sul fatto che nelle urne si dovesse votare sì a tutti i quesiti - spiega Soliani -, come Camera Penale di Milano ci siamo spesi perché i cittadini fossero informati sul contenuto dei quesiti, ma certamente chi ha promosso l’iniziativa non può non prendere atto di non aver suonato le corde giuste. L’afflusso al voto cosi limitato è la prova di un qualche errore nelle modalità di ideazione, presentazione e promozione dei quesiti referendari». Avevamo chiesto una intervista al Segretario Maurizio Turco, ma ci è arrivata una nota a sua firma insieme a quella della tesoriera del Partito Irene Testa in cui esprimono «la nostra solidarietà in particolare a Roberto Calderoli per l'attacco ricevuto dal Presidente dell'Unione delle Camere Penali» ma altresì «ai penalisti dell'Unione Camere Penali esposti dal loro Presidente a cancellare decenni di rapporti del Partito Radicale, nonché anche personali con i Presidenti Giuseppe Frigo, Ettore Randazzo, Valerio Spigarelli e, infine, Beniamino Migliucci, con il quale abbiamo promosso e raccolto insieme le firme sulla proposta di legge costituzionale per la separazione delle carriere». Ma non finisce qui perché ad alimentare la polemica è arrivata anche l'analisi di Simona Giannetti, penalista e consigliera generale del Partito Radicale: «È imbarazzante il comunicato della Giunta dell’Unione delle Camere Penali - ha spiegato all’AGI la portavoce della campagna referendaria a Milano -. Si arroga il diritto di attribuire ai promotori il disastro di una cittadinanza astenuta perché i penalisti non sarebbero stati coinvolti. Rivendico il metodo radicale che da sempre è quello di fare le battaglie sui contenuti con chiunque voglia affiancarli. Invece tanti avvocati non hanno raccolto le firme perché c’era la Lega e chi avrebbe dovuto stare con noi pancia a terra, come l’Unione, non l’ha fatto. Non era la battaglia di un partito e sarebbe dovuta essere prima di tutto quella dei penalisti che sperimentano sul campo i problemi della giustizia e la necessità delle riforme». Sul fronte delle forze politiche ha parlato Matteo Renzi: «Leggo tanta ironia contro chi è andato a votare per il referendum sulla giustizia, pur sapendo che raggiungere il quorum era praticamente impossibile, dopo che i quesiti più sentiti erano stati respinti. Mi sembra ingeneroso. Ci sono sette milioni di italiani che hanno chiesto di dare priorità a una riforma della giustizia vera. Prenderli in giro con le ironie di queste ore solo per attaccare uno dei promotori è assurdo». Per Matteo Salvini «il referendum è stata una grande occasione, mi spiace che qualcuno a sinistra esulti, che qualcuno goda della non partecipazione al voto mi sembra miope perché avere una giustizia non miope conviene anche ai sindaci del Pd» e annuncia: «Nell'ottica dei sì che hanno vinto con tutti i cinque i quesiti, la Lega porterà in Commissione delle proposte che siano conseguenti come la separazione delle carriere, la riforma del Csm».