L’Organismo congressuale forense lancia l’allarme su uno degli emendamenti al ddl delega in materia di contratti pubblici, approvato lo scorso 11 maggio in commissione Ambiente alla Camera. Il riferimento è alla «previsione del divieto di prestazione gratuita delle attività professionali, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione».

Secondo i vertici dell’Ocf, il rischio maggiore riguarda lo svilimento della dignità del professionista, con l’eliminazione potenziale del principio della corrispettività nella contrattazione con la Pubblica amministrazione. Non solo. A detta del coordinatore dell’Organismo congressuale forense, Sergio Paparo, l’emendamento presentato contrasta nettamente con i principi e l’impianto del ddl sull’equo compenso all’esame del Senato proprio in queste settimane. «Peraltro – dice Paparo – il suo contenuto eccessivamente generico lascerebbe troppo spazio alla discrezionalità amministrativa nella individuazione dei casi eccezionali e nella formulazione delle adeguate motivazioni». Analoghe preoccupazioni sono condivise da Francesco Del Grosso, referente del gruppo di lavoro Ocf sulla “Effettività compenso- fiscalità”.

«L’approvazione dell'emendamento – commenta – costituirebbe un depotenziamento della già imperfetta disciplina dell’equo compenso, che necessita di una estensione e non una di una riduzione delle tutele. La battaglia sull’equo compenso va vista non soltanto in funzione della garanzia, sacrosanta, della dignità e del decoro della nostra professione o come rivendicazione meramente sindacale. Va vista, soprattutto, nell’ottica dell’attuazione dell’effettività della giurisdizione, al fine di garantire una difesa adeguata degli interessi dei cittadini. Continuo a esser convinto che la via maestra, che potrebbe definitivamente risolvere tutte le ambiguità cui si presta l’attuale formulazione normativa, sia comunque quella della reintroduzione della inderogabilità dei minimi tabellari».

Altro fronte di interesse è quello dell’ordinanza della Cassazione n. 9727/ 2022. I giudici di piazza Cavour hanno stabilito che la mancata comunicazione delle variazioni di reddito, anche quelle che non siano rilevanti ai fini del superamento del limite previsto per l’ammissione e il mantenimento del beneficio, comporta automaticamente la revoca dello stesso. «Occorre intervenire – evidenzia Paparo – con urgenza sulla riforma della disciplina del patrocinio a spese dello Stato, attualmente all’esame della commissione Giustizia della Camera, per evitare distorsioni del sistema come quella che emerge dalla recente ordinanza della Corte di Cassazione».

Gianfranco Zarzana, referente del gruppo di lavoro sul patrocinio a spese dello Stato di Ocf, ricava, dall’intervento della Cassazione, forti preoccupazioni: «L’attuale disciplina – afferma – ha dimostrato in diverse occasioni tutta la sua ambiguità, dando luogo a differenti interpretazioni e prassi applicative. L’interpretazione fornita dalla Suprema corte, secondo cui deve essere disposta la revoca del beneficio nel caso in cui non vengano comunicate le variazioni di reddito che non siano in alcun modo in grado di incidere sui requisiti di ammissione o mantenimento, appare contraria alla ratio della legge diretta a garantire il diritto di difesa ai cittadini meno abbienti».

Gli avvocati sono pronti a fare la loro parte e a sensibilizzare il Parlamento in merito ai provvedimenti che si stanno varando. Il primo obiettivo è evitare che vengano penalizzati i cittadini con minori possibilità economiche ai quali non può essere limitato o addirittura negato l’accesso alla giustizia. «Non è possibile – aggiunge Stefania Martin, co- referente del gruppo di lavoro Ocf – limitare il diritto dei non abbienti di accedere alla domanda di giustizia con interpretazioni meramente formalistiche della legge. Per questo invieremo subito alla competente commissione Giustizia, che sta esaminando il disegno di legge di riordino del patrocinio a spese dello Stato, le osservazioni dell’avvocatura».