Marina Ovsyannikova, la giornalista-dissidente che ha contestato nello scorso marzo l’aggressione militare della Russia ai danni dell’Ucraina, sta affrontando un periodo molto impegnativo. Le immagini andate in onda durante il telegiornale di Channel One, mentre mostrava un cartello con la scritta «No alla guerra, fermate la guerra. Non credete alla propaganda, vi stanno mentendo», hanno fatto il giro del mondo e hanno cambiato la sua vita. Il riferimento è anche alla sua attività professionale. Dallo scorso 11 aprile Ovsyannikova collabora con il giornale tedesco Die Welt. L’obiettivo è fornire, come ha sottolineato in diverse occasioni, «un contributo per la verità, dato che le fake news sono quelle del governo russo e non di altri». L’esperienza con Die Welt è una nuova opportunità per commentare, evitando l’applicazione delle norme liberticide che in Russia impediscono di parlare della guerra e di criticare le scelte di Putin, quanto accade nel suo Paese. Per aver esposto in televisione il cartello “No war” Ovsyannikova è stata trattenuta per ben quattordici ore in una stazione di polizia, senza la possibilità di contattare i suoi avvocati - tra questi Sergei Badamshin - e i familiari. Da qualche settimana Marina ha raggiunto la Germania, dopo una breve sosta in Moldavia. Da lì racconta l’aggressione militare avviata il 24 febbraio. Tanti i cittadini russi e ucraini incontrati in questi giorni che rendono il futuro dell’Europa e del mondo sempre più incerto, meno sicuro e con due nuovi blocchi contrapposti, proprio come sessant’anni fa. Reportage scritti e video che hanno quasi ridato alla giornalista originaria di Odessa la gioia di fare il lavoro più bello del mondo e di non pensare alle possibili conseguenze della protesta inscenata a Channel One, un tempo la sua seconda casa. Ma ad offuscare la serenità della giornalista sono le dichiarazioni dell’ex marito, che lavora per un altro canale filo-governativo, Russia Today. È stata la stessa Ovsyannikova in una intervista al giornale online Hold a riferire che l’uomo ha adito le vie legali per ottenere la custodia dei due figli di diciassette e undici anni, tuttora in Russia. Nell’intervista, rilanciata dal Guardian, la giornalista ha detto che l’ex marito impedisce ai figli di lasciare la Russia per raggiungerla a Berlino. Non manca, poi, un passaggio in cui Marina si dice rammaricata per il fatto che il figlio maggiore è «un forte sostenitore della guerra in Ucraina e la considera una traditrice». Una situazione che di sicuro rattrista la reporter russa, che sta rischiando in prima persona le scelte di libertà condivise da altri suoi connazionali. Abbiamo contattato Marina Ovsyannikova – Il Dubbio è stato con la trasmissione Che tempo che fa l’unico giornale ad intervistarla in Italia – per invitarla al Salone del Libro di Torino e discutere sulla guerra di Putin e sulla eventualità che venga perseguito da un Tribunale internazionale. Ci ha riferito che è impossibilitata e che a breve intende tornare a Mosca. Una scelta coraggiosa e rischiosa per dimostrare, prima di tutto, che non intende apparire come una «traditrice agli occhi dei russi», senza trascurare i figli che le sembrano «quasi degli ostaggi». Ovsyannikova è consapevole di quello che le potrebbe accadere e non esclude neppure i provvedimenti più severi, dopo quanto successo a Channel One. Una consapevolezza mostrata con dignità e con il pensiero rivolto ai “suoi” popoli: quello della Russia e quello dell’Ucraina. «Forse – dice al Dubbio –, mi metteranno in prigione. Considererò questo eventuale provvedimento come una punizione per aver lavorato per la propaganda russa per così tanto tempo. La cosa principale è che non mi uccidano. Non voglio sedermi, mentre gli ucraini e i russi soffrono. È ingiusto». Un sano realismo che, però, non cela la speranza di un cambiamento dall’interno della stessa Russia e ad opera dei russi, come affermato pochi giorni fa in una intervista alla Cnn. Conversando con Erin Burnett, corrispondente da Kiev della televisione americana, Ovsyannikova ha detto di apprezzare i colleghi che, come lei, si sono ribellati e hanno criticato il «patetico dittatore Putin». «La gente – ha commentato - inizia a notare che non è sola. Sempre più persone sono consapevoli dell’importanza di voci libere, di opposizione, e si uniscono a loro, mostrando di non sostenere più le scelte del governo russo».