Grande è la confusione sotto il cielo della commissione Esteri del Senato. Oggi alle 13 i partiti dovranno far pervenire alla presidente Casellati la lista dei propri rappresentanti. Il primo a rendere pubblica la propria rosa, dalla quale poi il gruppo parlamentare sceglierà i nomi definitivi, è stato il Movimento 5 Stelle, a cui fino a pochi giorni fa era affidata la presidenza della commissione. Cioè fino a che la strenua resistenza di Vito Petrocelli è stata battuta dalle dimissioni in massa degli altri componenti, così da dover ricostituire da zero il plenum. E chi, se non Petrocelli, ha risposto affermativamente alla richiesta di disponibilità da parte del M5S ai suoi senatori per entrare a far parte della nuova commissione? Tra il serio e il faceto il fu presidente si è candidato, con buona pace della dirigenza pentastellata che per giorni lo ha apostrofato come «fuori dal M5S», tuttavia senza notificargli un qualsivoglia avviso di espulsione.

E così ora si ricomincia, con una nuova commissione, che dovrebbe comunque essere praticante fotocopia alla precedente, e un nuovo presidente. Proprio su questo punto è scoppiato il caos quando si è diffusa la notizia che il prescelto sarebbe stato Gianluca Ferrara, noto per le sue posizioni (passate) anti americane. Va detto, a difesa del Nostro, che, a differenza di Petrocelli, Ferrara quelle posizioni le ha recentemente cambiate. O meglio, si è schierato apertamente contro la Russia. «Le mie note posizioni critiche verso la politica estera degli Stati Uniti e della Nato, in particolare rispetto alle guerre in Iraq, Afghanistan e Libia, non significano assolutamente che io sostenga in alcun modo la folle aggressione militare ordinata da Putin - ha detto ieri Ferrara presentando, in un primo momento, la propria disponibilità a guidare la commissione più discussa d’Italia - In tempo di guerra o stai da una parte o stai dall’altra, tertium non datur: ma chi ragiona in pace sa giudicare le responsabilità di entrambe le parti».

Per poi fare una giravolta e tirarsi indietro nel tardo pomeriggio. «Nel rispetto dei valori del M5S che non brama a poltrone e per il bene della mia forza politica, data la macchina del fango che si è messa in moto nei miei confronti, scelgo di non candidarmi a presidente della commissione Affari Esteri del Senato - ha scritto in una nota poche ore dopo aver dato la propria disponibilità - Continuerò a svolgere il mio lavoro in Commissione con correttezza e senso di responsabilità come ho fatto in questi anni».

Parla di macchina del fango, Ferrara, ma forse dovrebbe guardare in casa propria. Perché se da una parte Italia viva ha chiesto «una riunione di maggioranza in Senato per discutere chi indicare come presidente della commissione», c’è chi giura che l’impallinamento contro Ferrara sia arrivato, in primis, dal suo stesso partito. Che ormai da mesi è lacerato dalla frattura interna tra il presidente Giuseppe Conte e l’ex capo politico Luigi Di Maio, diventato nel tempo fedelissimo di Mario Draghi (sic!).

Entrambi fatti vorrebbero far propria la poltrona della presidenza della commissione, l’uno ponendo sul trono nientemeno che Ettore Licheri, senatore sardo già capogruppo a palazzo Madama e sponsorizzato anche dalla vicepresidente del Senato, Paola Taverna, l’altro puntando tutto sulla senatrice Simona Nocerino. Entrambi, ovviamente, nella lista dei nomi pubblicata dal Movimento. Gli altri sono Mariolina Castellone (capogruppo M5S a palazzo Madama), Vito Petrocelli (chapeau), Primo Di Nicola, lo stesso Ferrara, Paola Taverna, Gianluca Castaldi, Vito Crimi e Alessandra Maiorino. Della vecchia Commissione facevano parte Taverna, Nocerino e Ferrara. Resta fuori invece il già componente Alberto Airola.

Per sapere chi la spunterà dovremo aspettare ancora qualche ora, o forse qualche giorno. In mezzo, l’informativa di Draghi in Senato sulla crisi in Ucraina, prevista per giovedì prossimo, con Conte che ieri è tornato ad attaccare il presidente del Consiglio parlando di «nuovo scenario della guerra» che non consente al governo di avere il «mandato politico» per inviare altre armi a Kiev. «Abbiamo già dato», ha chiosato. Il nuovo presidente della commissione Esteri, chiunque sarà, avrà il suo bel da fare.