Alla fine della conferenza stampa da Washington e certo un po' a mezza bocca ma meno di quanto si sarebbe immaginato Draghi ammette. La Ue è l'alleata degli Usa, che sono e restano "indispensabili". Ma la situazione sta cambiano, il rischio di "una divaricazione c'è". Il premier italiano parla come se stesse rappresentando non solo il Paese che governa ma l'intera Unione europea. Indica un obiettivo preciso, sul quale da quel che dice sembra concordi anche il presidente degli Stati Uniti, ma che implica la ricerca di un punto d'equilibrio difficile e scivoloso. "La situazione è cambiata rispetto alla prima fase del conflitto, quando sembrava si confrontassero una David e un Golia invincibile". Ora è invece chiaro che "il Golia non c'è e la Russia è meno invincibile". Dunque l'ostacolo posto dallo stesso Putin al telefono proprio con Draghi, quella richiesta di aspettare che la situazione si definisse sul campo nella chiara previsione di una vittoria militare schiacciante, non sussiste più. Si può, anzi si deve, passare a una fase diversa, quella nella quale l'obiettivo è la trattativa, anzi una trattativa in cui si dovranno mettere d'accordo "Usa e Russia". Lo dice chiaramente Draghi, alvo poi correggere, dopo precisa domanda, chiarendo che non intendeva dire che a far la pace devono essere Putin e Biden ma solo che intorno a quel tavolo devono esserci tutti e non solo i due Paesi che si stanno confrontando militarmente. La difficoltà è qui ed è doppia. "Nessuna pace può essere imposta all'Ucraina", dice forte e chiaro l'inquilino di palazzo Chigi e fa capire che a Kiev qualche inquietudine in questo senso c'è. A decidere le condizioni della pace deve essere l'Ucraina, specifica e anzi alla fine si allarga fino a parlare di "vittoria di Zelensky". Una pace imposta, sottolinea, sarebbe del resto una finta pace, resisterebbe per un attimo appena. Il punto è che una trattativa è per definizione la ricerca di una soluzione senza vincitori e vinti o che almeno permetta a tutti di proclamarsi vincitori. Perché il negoziato venga avviato sono dunque necessarie due condizioni oggi assenti, fa capire senza dirlo Draghi: la prima è che si chiariscono gli obiettivi di Mosca, a tutt'oggi ignoti; la seconda è trovare una formula che sia accettabile per l'Ucraina senza che suoni come una disfatta e una resa della Russia. E' un'impresa. Draghi non candida né il suo Paese né l'Unione a gestire la delicatissima fase che dovrebbe portare all'avvio del negoziato, si smarca anzi ripetendo quel che aveva già dichiarato in Parlamento: importante è solo la pace. Ma è implicito il ruolo che storia e geografia assegnano all'Europa nel cercare di "portare tutti al tavolo". Con un primo passo che sembra però essere già segnato, anche se solo al livello di auspicio e tentativo obbligato. L'emergenza alimentare incalza, lo spettro della carestia incombe su interi Paesi poveri, per lo più africani. Implicherebbe, tra l'altro, un massiccio afflusso di profughi proprio in Europa. La prima anche se non unica causa è la mancanza del grano ucraino, che non può partire dai proti bloccati. Sbloccarli è la priorità assoluta per evitare la fame per milioni di persone. Vuol dire togliere le moine poste di fronte a Odessa per impedire lo sbarco dei russi, vuol dire la diponibilità russa a far partire le navi ucraine. E' una classica situazione nella quale tutti devono cedere qualcosa e sbloccare il quadro su questo fronte sarebbe senza dubbio un buon viatico per tentare di avviare un dialogo. Delle tensioni in Italia e nella maggioranza, dell'informativa del prossimo 19 maggio, Draghi proprio non parla e nessuno del resto lo interroga in proposito. Particolare eloquente su quanto poco pesino, sulla realtà globale, le piccole tensioni italiane, spesso motivate solo da ansia elettorale. Le cose stano diversamente per quanto riguarda l'Europa e il prossimo Consiglio europeo. Quello sì che sarà fondamentale, sia perché se vuole giocare un ruolo nella ricerca di una soluzione disarmata la Ue deve parlare con una voce sola, sia perché sul fronte dell'energia i colloqui di Washington hanno portato a poco. Piena intesa nell'individuare i problemi, ma sulla soluzione a breve, un tetto sul prezzo del petrolio, fondamentale per gli Usa, e del gas, vitale invece per molti Paesi Ue la situazione sembra ancora in alto mare.