Riguardo alla riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario tre al momento sono gli elementi certi: domani il testo approda nella commissione Giustizia del Senato; contro il ddl delega l’assemblea dell’Anm ha deliberato, sabato scorso, lo sciopero; l’attuale consiliatura del Csm termina il 25 settembre e il tempo stringe. L’Associazione magistrati aveva invitato sabato tutti i responsabili Giustizia dei partiti. Si sono presentati la dem Anna Rossomando, Giulia Sarti del M5S, Enrico Costa di Azione, Catello Vitiello di Italia Viva, Giulia Bongiorno della Lega. Ma i loro interventi non sono riusciti a far fare un passo indietro alle toghe che ora, tramite la loro giunta e valutando i lavori parlamentari, dovranno scegliere il giorno giusto per l’astensione. «Con l’assemblea abbiamo parlato ai politici, con l’astensione ci rivolgeremo ai cittadini per spiegare i temi sui quali riteniamo si debba intervenire», ci ha detto il segretario di Magistratura indipendente Angelo Piraino.

«La presenza dei politici», ha proseguito, «è stata un atto di grande attenzione nei nostri confronti e ho apprezzato che tutti siano intervenuti, anche in modo franco e onesto. È ovvio, però, che alla fine il timore è che ognuno resti ancorato alle proprie posizioni. Anzi, sono rimasto colpito dalle parole dell’onorevole Sarti, che ha detto che il rischio di riaprire il dibattito al Senato è quello di peggiorare la riforma». La deputata grillina infatti aveva precisato: «Ci sarà il tentativo di introdurre la responsabilità diretta dei magistrati e altre misure che finora siamo riusciti a evitare.

Qualcuno punterebbe ad annullare qualsiasi passaggio di funzioni». Sarti è stata la parlamentare più applaudita, soprattutto quando ha attaccato il collega di Italia Viva Cosimo Ferri: «Resta al suo posto e il Parlamento ha respinto l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni». Rimasta quasi fino al termine dell’assemblea a tessere relazioni, a differenza dei suoi colleghi che sono andati via prima, ha annuito con la testa quando la giudice Paola Cervo, rivolta all’avvocato (più che alla senatrice) Giulia Bongiorno, ha auspicato: «Voi dovreste scioperare con noi!».

Sarti, impegnando i pentastellati su posizioni di ripensamento rispetto alla riforma appena approvata alla Camera, si è di fatto schierata all’opposizione, come ribadito da una dichiarazione da lei resa nella tarda serata di sabato: «Lo sciopero è legittimo e la magistratura va ascoltata, come abbiamo fatto in tanti all’assemblea nazionale dell’Anm». Invece Anna Rossomando, precisando che «a noi piaceva il testo Cartabia così come approvato in Consiglio dei ministri», aveva tentato di rassicurare la platea: «Non vedo il pericolo che voi state partecipando ma faremo molta attenzione e vigileremo su decreti attuativi». Il che sembra che equivalga a dire: non scioperate, perché poi proviamo ad aggiustare il tiro in fase di decretazione.

Ma non è bastato, anche perché ci sono delle norme immediatamente “precettive”, come la separazione delle funzioni e le nuove sanzioni disciplinari che, insieme al fascicolo per la valutazione dei magistrato, sono state definite dal segretario di AreaDg Eugenio Albamonte «tre cannoni puntati su di noi». Insomma, l’allarme lanciato dalla magistratura è totale, e non s’intravede l’intenzione di recedere. Eppure il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto ha bollato come «ingiusto» lo sciopero: «L’Anm è stata ascoltata al ministero ben sette volte, poi il Parlamento decide», ha detto al Corsera.

Ma per Albamonte «una cosa è onorare un protocollo di correttezza istituzionale nel convocare l’Anm, altra cosa è prendere seriamente in considerazione le criticità che vengono sollevate». E comunque, sottolinea, «noi non siamo mai stati interpellati sul famoso subemendamento relativo al fascicolo di valutazione presentato dopo il Cdm». Ma lo sciopero si terrà davvero? «Lo faremo se dalla discussione al Senato non ci sarà un miglioramento o addirittura se il testo verrà peggiorato». Però fare correttivi al Senato significherebbe rischiare di non votare la nuova consiliatura entro il 25 settembre, visto che in quel caso il testo tornerebbe alla Camera: «Non serve più tempo», obietta Albamonte, «ma solo la buona volontà, ad esempio prevedendo di tornare a due passaggi di funzione, specificando meglio i termini di delega sul fascicolo di performance e riscrivendo la norma sul disciplinare. Se non si volessero cancellare queste norme, se ne dovrebbero quanto meno eliminare i fattori di possibile intimidazione».

Nessun passo indietro: la partita in Senato è decisiva, per evitare inasprimenti tra potere politico e ordine giudiziario. Chi invece ha giudicato queste argomentazioni «pretestuose» è stato il presidente dell’Ucpi Gian Domenico Caiazza, intervenuto pure lui sabato in assemblea: «Non posso non rappresentarvi la sensazione della pretestuosità di alcune delle argomentazioni che sento più diffusamente proposte sui temi caldi e che quindi ci fanno sospettare che le ragioni siano altre. Se si acquisisce l’intera attività del magistrato, la sentenza creativa, le 20 sentenze creative, ovviamente, non vengono nemmeno rilevate dalla statistica. Non è possibile rilevarle. Perché dovete fare, ci chiediamo con franchezza e con amicizia, questi discorsi pretestuosi? Perché bisogna dire qualcosa che non è?».