«È una vera rivoluzione e chi non lo ammette forse è rimasto indietro rispetto agli stessi cittadini che dice di rappresentare». Simona Malpezzi, presidente dei senatori dem, esulta dopo la decisione della Consulta, che ha dichiarato illegittimo l’automatismo dell’attribuzione del cognome paterno. Una decisione che ricalca la proposta di legge depositata in Senato dal Pd, che ora vuole accelerare i tempi e chiudere la partita entro il 2023. «L’unico rammarico - spiega al Dubbio - è che, ancora una volta, la Corte è arrivata prima del legislatore. E forse dovrebbe essere interesse di tutti restituire al legislatore la dignità del suo ruolo».

Questa sentenza viene accolta come una rivoluzione. Lo è davvero?

È una decisione importante perché elimina quell’automatismo figlio di un retaggio patriarcale che non tiene conto della storia dell’altra metà del cielo: la donna. Ed è rivoluzionaria perché elimina il segno di una società che ormai è superata e che metteva al centro esclusivamente il modello maschile. Oggi, fortunatamente, viviamo in un’epoca in cui è data la libertà di scelta, che mancava, fino ad ora, rispetto al cognome. Rimane il rammarico che la Consulta sia arrivata laddove il Parlamento non è stato in grado di legiferare, e lo dico dal punto di vista del legislatore che ci prova dalla scorsa legislatura. Il Pd, rispetto a questo tema - come in generale al tema dei diritti -, è sempre stato in prima linea, perché appartiene al nostro dna. Avremmo voluto arrivare a questo risultato attraverso la legge e non arrivare alla legge perché ce lo chiede la Consulta.

Ci sono diverse proposte già depositate, tra le quali una del Pd. Il presidente della Commissione giustizia, Andrea Ostellari, ha affermato che non c’è nessuna preclusione, ma ha comunque precisato che «la sentenza merita un’attenta analisi». E ieri il senatore leghista Pillon, pur dicendo di non essere «aprioristicamente contrario», ha elencato una serie di obiezioni. Crede che ci sia il pericolo di un rallentamento?

Ci sono sei proposte di legge depositate in Commissione giustizia, il lavoro è già cominciato e siamo nella fase delle audizioni. Spero che si possa dare un’accelerazione a questo processo. È vero che la sentenza andrà letta, ma il comunicato della Corte lascia intendere che il suo impianto sia praticamente analogo a quello del nostro disegno di legge. Anzi, siamo forse gli unici a superare l’automatismo dell’attribuzione del cognome paterno, sovrapponendoci a ciò che la Corte costituzionale ha detto. Si può di certo attendere la motivazione, ma ciò non toglie che la Commissione Giustizia possa accelerare i lavori, visto che ci sono proposte trasversali e lo schema dettato dalla Consulta, elementi che consentono di arrivare presto ad una soluzione. A meno che non ci siano alcune forze politiche che continuino a ritenere che non si tratti di una rivoluzione, ma di un’involuzione. Questo mi preoccuperebbe, perché significherebbe ancora una volta che chi rappresenta i cittadini è indietro rispetto ai cittadini stessi.

Questo però è quello che è successo su altri temi, come fine vita ed ergastolo ostativo.

Non dobbiamo dimenticarci che in questo momento il Parlamento sta affrontando questi due provvedimenti, figli anch’essi, in un certo senso, di sentenze costituzionali. Una parte dei legislatori su questi temi c’era già da prima, il problema è che non si riesce a trovare la quadra perché c’è chi si oppone. E ad opporsi è chi non vuole cambiare la nostra società e attende che sia la Corte a dire che una norma non è costituzionale, perché magari non la vorrebbe cambiare. Gli stessi che quando la Corte interviene cercano di porre ulteriori paletti. Questo è il mio rammarico: sul tema dei diritti le forze politiche non sono tutte uguali. Va detto con chiarezza.

C’è chi sostiene che questa decisione possa portare alla dissoluzione della famiglia. Cosa risponde?

È un rischio che non vedo. Anzi, nel superamento dell’automatismo del solo cognome paterno vedo un rafforzamento delle radici familiari. Noi siamo fatti della storia che ci portiamo alle spalle e che è la storia di un padre e di una madre. Quindi abbiamo la possibilità di trasferire, attraverso il cognome, la storia dell’intera famiglia. E voglio prendere ad esempio il mio caso: io sono l’ultima dei Malpezzi e in un certo senso è come se con me si fosse interrotta la possibilità di trasmettere anche quel pezzo di storia. Per cui questa obiezione non la posso accogliere. Anzi, ritengo che ci sia un’opportunità in più per i figli di identificarsi nella storia di entrambi i genitori.

Cosa prevede la proposta del Pd?

L’automatismo del cognome paterno viene superato dall’automatismo dei due cognomi, lasciando poi la libertà di scelta all’interno della famiglia. Laddove i genitori non dovessero riuscire a trovare un accordo, noi proponiamo una soluzione diversa da quella della Corte: non si farà ricorso ad un giudice, ma si procederà sulla base dell’ordine alfabetico dei cognomi. Per le generazioni successive teniamo comunque la regola dei due cognomi: il figlio con due cognomi, che a sua volta diventa genitore, sceglierà uno dei due cognomi in modo tale che quello del proprio figlio sia sempre doppio e non quadruplicato, come qualcuno sta provando strumentalmente a ipotizzare. Anche qui nella libera scelta della famiglia.

Quali altre sono le battaglie per eliminare gli ultimi residui del patriarcato?

La battaglia è lunga e deve essere fatta con misure che aiutino la nostra società a cambiare, ad esempio, il mondo del lavoro. La cura della famiglia è ancora oggi affidata alla donna, per la modalità in cui è strutturato il tempo lavoro. La fatica è tanta, però i cambiamenti partono anche da modifiche di natura culturale e di diritto civile, come in questo caso. Perché quando si chiamano le cose con il proprio nome, allora queste cose vengono riconosciute e avvengono dei cambiamenti.

Dalla prima apertura della Corte sono passati 34 anni. Il vento è cambiato?

La Corte, anche nel 2016, aveva dichiarato l’incostituzionalità della disciplina che impone al figlio il solo cognome paterno, con passaggi non indifferenti. Anche in quel caso noi avevamo votato una proposta di legge alla Camera in prima lettura, ma come sempre alcune forze politiche si sono tirate indietro stoppando il percorso. Lo spazio affinché la politica potesse arrivarci prima e interpretasse davvero ciò che la Corte ci stava indicando c’era già. Più recentemente, la Corte aveva dato un monito al legislatore, sollevando innanzi a sé la questione di legittimità. Noi ci abbiamo pensato, ma non abbiamo trovato un terreno fertile su cui costruire una proposta che potesse avere un passaggio immediato. Adesso la Corte ci chiede di intervenire. Ecco, forse dovrebbe essere interesse di tutti restituire al legislatore la dignità del suo ruolo.

Rispetto ad altri temi che creano maggiori divisioni forse si potrà arrivare ad una soluzione più rapida. Crede sia possibile approvare una legge entro la fine della legislatura?

Lo spero. Noi lavoreremo in questa direzione e farlo non significa togliere il tempo, come qualcuno sta già dicendo, a cose più urgenti, perché possiamo tranquillamente lavorare, com’è giusto che sia, su provvedimenti che hanno ricadute economiche sulle nostre famiglie e le nostre imprese e di pari passo anche su questi temi. I diritti si tengono tutti insieme.