Giuseppe Conte indossa l’elemetto per andare alla guerra contro la guerra. Sì, perché il Movimento 5 Stelle non ha affatto rinunciato a dare battaglia al governo sulle nuove forniture di armi da inviare a Kiev, come stabilito martedì scorso dall’assemblea dei 40 paesi che sostengono la difesa Ucraina, convocata nella base americana di Ramstein in Germania convocata dal segretario alla Difesa Usa, Lloyd James Austin. Il nodo della questione resta la tipologia di armamenti da trasferire sul teatro del conflitto. «Il Movimento si oppone all’invio di aiuti militari e a controffensive che esulino da quello che è il perimetro del legittimo esercizio del potere di difesa di cui all’articolo 51 della Carta dell’Onu», va ripetendo da due giorni il leader 5S, chiedendo a Mario Draghi e al ministro della Difesa Lorenzo Guerini di riferire in Parlamento sulle future iniziative italiane. E proprio il nuovo decreto interministeriale - sottoscritto dai ministri degli Esteri, dell’Economia e della Difesa - riguardante gli aiuti militari, che dovrebbe arrivare stasera in Cdm, sarà al centro dell’audizione del ministro Guerini, convocato oggi al Copasir.

Conte, che ieri ha incontrato l’ambasciatore britannico in Italia Ed Llewellyn - per «rappresentare la preoccupazione del M5S per le tensioni internazionali di questi mesi» - non alcuna intenzione di cedere sul versante pacifista che ha deciso di presidiare. Non è chiaro se per convinzione o se, per dirla col renziano Faraone, per propaganda, visto che «Conte chiacchiera» ma alla fine vota «tutti i provvedimenti sulla guerra». Qualsiasi sia il motivo, l’avvocato ha scelto comunque di distinguersi dalla maggioranza e dall’alleato, il Pd, sempre più in imbarazzo per lo smarcamento dell’ex premier.

Il leader grillino non sembra intimorito dai turbamenti e dall’irritazione sempre più palese dei compagni di strada, anzi, sente di poter intercettare il consenso di buona parte degli italiani, contrari, secondo la maggior parte dei sondaggi all’invio di armi in Ucraina. Conte segue la scia pacifista per provare a dare una nuova identità alla sua creatura - che dovrebbe subire anche un restyling grafico nel simbolo ma non ammette passi falsi. Per questo ha preteso “la testa” di Vito Petrocelli, il presidente della commissione Esteri del Senato, buttato fuori dai Gruppi ( e a breve dal Movimento) per le posizioni filo putiniane manifestate al limite del buon gusto. Un allontanamento «vergognoso», si difende su Twitter il diretto interesato, «ho la stessa posizione in politica estera del governo Conte I e del programma con cui sono stato eletto nel 2018, prima che arrivassero il Pd e Draghi. Mi fa soltanto un po’ male il silenzio assordante di Beppe. Vergognoso», ribadisce Petrocelli. Che sulla coerenza rispetto all’epoca dell’elezione non ha tutti i torti.

E non sarà un caso che Matteo Salvini, l’altro protagonista del Conte uno (il governo citato dal senatore allontanato), pronunci a sua volta parole di “pace”, sposando addirittura la linea del «Santo Padre», lo stesso Papa contro cui qualche anno fa sfoggiava una maglietta a Pontida. E pur senza polemizzare sul tipo di armi da inviare a Kiev, il leader del Carroccio chiede comunque un confronto parlamentare sulla nuova “spedizione”. «Di guerra si parla a reti unificate, a me piacerebbe un incontro di tutti i leader per parlare di pace, perché gli aiuti militari li abbiamo mandati e quelli umanitari anche. Ora mi piacerebbe che la politica ragionasse di come avvicinare la pace», è il ragionamento improvvisamente pacato di Salvini. «Stiamo dalla parte dell’Occidente e delle libertà. Ma vogliamo andare incontro a una terza guerra mondiale? Io no», insiste l’ex ministro dell’Interno, prima di indicare il suo nuovo sorprendente faro: «L’esempio da seguire è quello del Santo Padre». Un esempio che Salvini rinnega quando si tratta di accogliere chi fugge attraverso il Mediterraneo. Ma in questo gioco di riposizionamenti ognuno prova a giocare le sue carte. E chissà, che almeno su questo fronte, i cammini di Conte e Salvini non siano destinati a incrociarsi di nuovo.